Frank Mundus, cacciatore di squali - Fonte: Wikipedia, Pubblico dominio

Due casi di clamorosa conversione

Nel 1997 uscì nelle sale il film Il mondo perduto. Jurassic Park, diretto da Steven Spielberg e secondo capitolo del franchise tratto dai romanzi di Michael Crichton. In questo film il personaggio di Ian Malcolm, protagonista assoluto del film dopo essere stato co-protagonista in quello precedente, ha una conversazione con il miliardario John Hammond, il creatore del parco giurassico, sorprendendosi di come l’anziano riccone sia passato da “capitalista a naturalista”, dato che non vuole più usare i dinosauri come attrazione turistica, bensì difendere il loro isolamento nel territorio del Costa Rica.

Velociraptor – Immagine creata con Google Gemini AI


I libri di Crichton in questione sono romanzi di fantascienza con alcune caratteristiche horror-splatter (rese meno forti nei film per ottenere un prodotto non vietato ai minori), eppure la conversione di persone, prima nemiche giurate della natura, a suoi grandi difensori ha dei riscontri nella realtà.
I casi di cui parlerò sono quelli di Frank Mundus e Jim Corbett, rispettivamente cacciatori di squali e felini.
Frank Mundus è diventato famoso per aver ispirato, negli anni Settanta, il personaggio di Quint, il cacciatore di squali del romanzo di Peter Benchley Lo squalo, da cui è stato tratto il celebre film che ha lanciato Steven Spielberg e inaugurato l’epoca dei blockbuster, oltre che un franchise di quattro pellicole.
Mundus era proprietario di un barca chiamata Cricket, e poi di un’altra chiamata Cricket II, chiamate così perché il loro profilo ricordava quello del Grillo (cricket in lingua inglese) Parlante del Classico Disney del 1940, e con esse decise di dedicarsi alla pesca del pesce azzurro, ma quando scoprì che nelle acque della città di Montauk nel New Jersey il pesce più abbondante era lo squalo, decise di inventare la pesca sportiva di questi animali, cosa che nessuno negli anni Cinquanta aveva mai avuto in mente di fare: per evitare di spaventare i turisti diceva che li avrebbe portati a “pescare mostri”. Questo gli permise di dare inizio ad un’attività di barche a noleggio molto produttiva, resa ancor più celebre dalla pubblicità derivata dalle sue imprese personali: durante una battuta di pesca gli capitò di catturare uno squalo bianco di quattromilacinquecento libbre.

Squalo bianco – Immagine creata con Google Gemini AI

Per catturarli, Mundus usava il chum, la poltiglia fatta di carne che viene gettata in mare, come si vede nella scena del film in cui Martin Brody/Roy Schneider avvista lo squalo bianco per la prima volta pronunciando la sua celebre frase “ci serve una barca più grande”. Il chum usato da lui era a base di carne di balena, che Mundus pescava con l’unico obiettivo di procurarsi la sua preziosa esca. Ciò l’ha reso non solo un pescatore di squali ma anche un baleniere. E questo lui fece fino al 1972, quando pescare le balene divenne illegale, perché secondo la sua esperienza gli squali erano attratti dal cibo più a loro familiare. La sua fama fu tale che Peter Benchley volle andare a pescare insieme a lui, e da quella esperienza scrisse il suo libro più famoso, e venne persino invitato da un principe saudita nel Mar Rosso perché gli insegnasse a cacciare gli squali.

Quando la caccia a questi animali venne dichiarata illegale e la burocrazia per avere i permessi da pescatore divenne più stringente, Mundus abbandonò la pratica per diventare un ambientalista.
Per lui non è mai stato un dietro-front o un rinnegare il suo passato. Al contrario, lui riteneva di essere stato “ambientalista prima che esistessero gli ambientalisti”: negli ultimi anni della sua vita realizzò le esche che permettevano a chi pescava squali di rilasciarli in mare senza fare loro del male, scrisse un libro sulla loro conservazione intitolato White Shark Sam Meet the Monster Man, partecipò ad alcuni documentari per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla difesa degli squali, la cui immagine era stata compromessa proprio dal film di Steven Spielberg, e lui stesso si pentì di aver indossato per anni collane composte da denti di squalo e di aver ostentato scheletri degli esemplari da lui pescati sulla sua barca. Stessa cosa farà Peter Benchley che, resosi conto delle conseguenze derivate dal suo libro, tenterà di riparare ai torti collaborando, tra le altre cose, ai documentari del National Geographic.
I due hanno avuto buoni motivi per fare questo. Un tempo gli squali erano milioni ed una delle forme di vita più diffuse in mare, oltre ad essere tra le più antiche (esistevano già ai tempi dei dinosauri) ma oggi sono appena il tre per cento degli abitanti del mare. Eppure essi giocano un ruolo fondamentale nella sopravvivenza dello stesso genere umano sul pianeta terra, perché oltre al ruolo di spazzini si occupano anche di contenere le popolazioni ittiche che altrimenti divorerebbero tutte le alghe del mare, il quale, rimasto senza, diverrebbe melmoso e tossico dato che la vegetazione marina si occupa di tenerlo pulito.

Jim Corbett – Fonte: Wikipedia, Pubblico dominio

Dopo gli attacchi di squalo del New Jersey del 1916, in cui uno squalo bianco e uno squalo leuca uccisero quattro persone durante un’estate particolarmente calda che aveva spinto i bagnanti sulla spiaggia e sul fiume, tali animali vennero considerati creature pericolose che andavano eliminate per la salvaguardia delle persone. Il romanzo di Benchley gettò benzina sul fuoco insieme al film di Spielberg. Da allora fortunatamente si sono moltiplicati gli interventi e i programmi a sostegno di questa fondamentale creatura, ma per riparare al danno del XX sec. ci vorrà ancora parecchio tempo.Jim Corbett era invece un cacciatore anglo-indiano. Avendo vissuto per quasi tutta la sua vita in India fin da piccolo, iniziò a cacciare in giovane età, e la sua abilità divenne tale che fu lui che chiamarono per eliminare i mangiatori di uomini, tigri e leopardi, che mietevano numerose vittime nel nord del paese.
La sua carriera cominciò nel 1907, quando gli chiesero di cacciare la Tigre di Champawat: questo felino inizialmente cacciava le sue vittime in Nepal, ma dopo aver ucciso più di duecento persone una grande battuta di caccia lo costrinse alla fuga nella regione indiana che gli diede il nome. Qui uccise altre trentasei persone, ultima una ragazza di sedici anni. Corbett lo rintracciò seguendo la scia di sangue che si era lasciata dietro e lo uccise grazie all’aiuto di trecento abitanti locali. Dopo la sua morte si scoprì che la tigre aveva i denti inferiori rotti, cosa che non le permetteva di cacciare le sue prede naturali. Mentre cacciava la tigre, Corbett venne a sapere di un altro grande mangiatore di carne umana, il Leopardo Panar, che imperversava nella zona di Almora e che aveva ucciso più di quattrocento persone. Tre anni dopo, nel 1910 decise di dargli la caccia e riuscì ad abbatterlo durante una battuta notturna.

Quindici anni dopo, nel 1925, gli fu richiesto di cacciare un altro leopardo, che aveva fatto meno vittime ma era più celebre perché aveva stabilito il suo territorio lungo la rotta dei pellegrini dei santuari indù di Kedarnath e Badrinath.

La caccia fu molto più impegnativa: Corbett era invecchiato e finì, durante le dieci settimane di caccia, per diventare lui stesso la preda, al punto che dovette chiedere aiuto per alcuni giorni, per poi tornare a cacciare in solitaria. Il destino volle che Corbett uccidesse il Leopardo di Rudraprayag l’ultimo giorno prima della sua rinuncia.

Da quel giorno abbatté altri mangiatori di uomini: tra il 1929 e il 1930 uccise le Tigri del Chowgarh, uccidendo prima il cucciolo subadulto e poi la madre, responsabili in cinque anni di oltre sessanta morti; nel 1937 la Tigre di Chuka e nel 1938 la Tigre del Thak. Tutte le tigri erano ferite o avevano problemi ai denti, e fu questo a renderle delle mangiatrici di carne umana, meno buona ma più tenera per un predatore indebolito.

Tigre del champawat – Immagine creata con Google Gemini AI

L’inizio della sua conversione ad ambientalista cominciò negli anni Venti, durante i viaggi nell’Africa Orientale dove si rese conto che la differenza tra le vaste praterie incontaminate del continente nero e quelle dell’India era diventato enorme, essendo queste ultime ormai devastate dalle attività dell’uomo. In quello stesso periodo comprò la sua prima macchina fotografica e iniziò a fare le prime registrazioni sulla pellicola cinematografica, scoprendo che era possibile fissare e cristallizzare l’esperienza di un incontro con un grande felino senza bisogno di ucciderlo. Il fotografo divenne per lui una figura molto più coraggiosa di quella di un cacciatore, perché per riprendere un animale il primo doveva avvicinarsi di più rispetto al secondo.

Purtroppo, come scrisse il suo biografo Martin Booth, Corbett conosceva al suo interno una feroce lotta tra il difendere le foreste e i suoi animali e il volerli usare per sé stesso: nel 1930, quando venne messa una taglia per il Re del Powalgarh, una tigre del Bengala più grande del solito, lui decise di partecipare alla caccia e l’abbatté, nonostante non si trattasse di una mangiatrice di uomini. Da allora però il suo conservatorismo subì un’impennata, come se il conflitto che lo lacerava l’avesse spinto a redimersi per quel gesto così insensato e crudele: iniziò a scrivere ai giornali per denunciare e far parlare di più della deforestazione, criticò le leggi del tiro, chiese l’istituzione di fondi per la conservazione e il bando dei cacciatori troppo esaltati. Con l’aiuto del suo amico Malcolm Hailey, governatore delle Province Unite, fondò l’associazione ambientalista “The All India Conference for the Preservation of Wild Life”, e nel 1934 lo convinse a creare il primo parco nazionale dell’India, grande trecento chilometri quadrati, che nel 1957 fu chiamato “Jim Corbett National Park”, e nel 1938 filmò un branco di sette tigri, di cui una bianca.

Ad oggi, tre sottospecie di tigri si sono estinte: la Tigre del Caspio, la Tigre di Giava (estinta negli anni Ottanta) e la Tigre di Bali (estinta negli anni Trenta). Tutte le altre ancora viventi sono a rischio estinzione, una di esse prende il nome di Tigre di Jim Corbett o Tigre indocinese, e di essa restano appena quattrocento esemplari.

Mundus e Corbett sono la prova vivente che non è mai troppo tardi per diventare difensori della natura, e sebbene per anni ne abbiano fatto scempio, è necessario ricordare che “una brava persona chiede scusa per ciò che ha fatto, ma una grande persona vi pone rimedio”.

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CC BY-NC-ND 4.0 Da cacciatori a naturalisti by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.

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