Articolo pubblicato su IUA n° 10, Anno III, Novembre 2016
Se, magari utilizzando il trenino che abbiamo altrove descritto, giungete da Trento all’inizio della Val di Sole, nel ridente paesino di Malè, vedrete aprirsi verso nord una delle due valli minori che si addentrano nel massiccio dell’Ortles-Cevedale: è la Val di Rabbi, famosa per le sue bellezze naturali e per le sue acque termali, non meno che per il fatto di essere compresa nel Parco Nazionale dello Selvio. Le particolarità architettoniche dei suoi antichi ‘masi’ in legno e la presenza di storiche segherie “ad acqua”, che si avvalevano per il loro funzionamento dell’impetuosa corrente del torrente Rabbies, accrescono l’interesse dei turisti, che la frequentano fin dai tempi dell’Impero asburgico; tra coloro che scelsero di risiedere qui, poi, si annoverano molti artisti, tra cui è doveroso citare il più grande pianista del XX secolo, Arturo Benedetti Michelangeli.
Il celebre Maestro, di cui è nota la sensibilità nervosa, scelse una grande casa, ristrutturandola e rendendola un eremo musicale per sé, la famiglia e i discepoli. Trovò certamente la pace e il silenzio, di cui un concertista di fama internazionale ha necessità per “ricaricare” le batterie.
Tra i tanti motivi d’interesse che la valle offre, il più spettacolare è tuttavia costituito dalle Cascate del Saènt, poste all’inizio del sentiero che conduce al Rifugio Dorigoni (mt.2436). Se pochi sono coloro che affrontano l’ardua ascesa fino al rifugio, molti, anche con bimbi piccoli al seguito, risalgono le cascate, facilmente raggiungibili dall’ampio parcheggio di Malga Stablasol (mt. 1539).
Vi è addirittura un servizio di pullman che, al prezzo di due euro, vi conduce dalla macchina ai pressi delle cascate, rendendole accessibili a chiunque.
I due balzi d’acqua, di complessi duecento metri, rappresentano davvero un monumento naturale che vale la pena di contemplare, anche sobbarcandosi la fatica relativa di percorrere il bel sentiero, ovviamente in salita, che le costeggia e in un punto le attraversa, su un ponticello di legno.
Miliardi di goccioline in impalpabile pulviscolo traggono mini arcobaleni sotto i raggi del sole, e costituiscono nutrimento per le tante specie di felci e di fiori che crescono ai margini del bosco. Si giunge in cima con un po’ di fiatone, che passerà sedendosi sulle panche presso il Rifugio forestale Saènt (mt. 1799), dove si può far merenda prima di scendere, brevemente e agevolmente, alla sottostante conca valliva del Prà di Saènt, dove il torrente Rabbies, prima di sfogare la sua furia gettandosi a valle, scorre tranquillo fa pascoli verdissimi. Nessuna costruzione umana che disturbi lo sguardo: solo una piccola malga, all’altro estremo della valletta, presso cui pascolano due quadrupedi. Dieci minuti a piedi, facile passeggiata per salutare i due equini, poi è lecito tornare indietro: da qui in poi inizia la dura salita per il rifugio Dorigoni, che non è il caso di percorrere adesso.
Questi prati, interrotti qua e là da macigni rotolati giù in epoche passate, un tempo erano il regno delle marmotte, e chi scrive lo può testimoniare di persona.
Ora, forse a causa dei rapidi cambiamenti climatici, non se ne vede (né se ne sente) neppure una.
Un guardaparco ci dice che le primavere troppo precoci hanno indotto le bestiole a uscire dalle tane anzitempo, così che le successive gelate hanno compiuto stragi tra i più deboli e tra i cuccioli: ma è tutto da appurare.
Ci attende un’altra ora di camminata per tornare al parcheggio, inseguiti dal rombo delle cascate che via via si affievolisce, come i colori della foresta, nella sera che scende.
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