Racconto pubblicato su IUA n° 8, Anno III, Settembre 2016
Lo sento quel tipico profumo di legno: lo inalo nei boschi, sui sentieri come in questi paesi alpini ancora non disturbati dalla cementificazione.
Il legno appartiene ai miei sensi e ai miei desideri così che quando mi fermo in questa vallata trentina, un mio gioco solitario è quello di scegliere visivamente la casa dove vorrei abitare e qui la scelta è difficile, poiché le case gareggiano nei miei pensieri tra i legni di cui sono composte; dai portoni, alle finestre, ai tetti spioventi, ai balconi. Case costruite con la base in pietra o intonacate a cui segue il legno che trova, nella parte superiore, tutto il suo spazio. Sono i profumi dell’abete e del larice che le ricoprono; alberi che incontro nelle escursioni o che ammiro nei monti che circondano la casa dove ora risiedo, in un luglio bello che si alterna a giorni nuvolosi, alle felpe e ai copriletto caldi durante la notte. Sono gli alberi che ammiro mentre la luce del giorno cala e la notte mi permette di osservare le cime dei monti che si stagliano sopra il paese, che ammiro con le sue luci, seduta sul davanzale in legno della finestra sottotetto.
Sono a Pejo (TN), nell’omonima valle; sottocasa, dal laboratorio di falegnameria del proprietario che è artigiano del legno, si sprigionano le essenze del legno tagliato, della colla cervona, dei trucioli di scarto che, ammassati, faranno da combustile per la stufa del grande locale.
Sto bene in questa valle; vi trovo un equilibrio tra l’uomo e la natura: un equilibrio che è difficile incontrare nei grandi centri abitati.
Qui l’uomo s’incarna con la montagna, con il legno, con l’acqua che ancora suggella il paesaggio con sorgenti, fontanili, torrenti; un’acqua che incontro scorrere dalle cime dei monti e che prende le numerose strade per scendere a valle. (foto 1: fontanile). Il legno e l’acqua formano, insieme, parte della cultura dei valligiani perché fonte economica ma anche atavico rispetto e protezione per i propri luoghi e i loro elementi. Legno e acqua, un connubio utile per le ‘segherie veneziane’ che, con le loro ruote idrauliche, usavano l’acqua come forza motrice. Già nel XIII secolo la Serenissima utilizzava il legno di queste zone per i suoi arsenali. Lungo il torrente Rabbiès in Val di Rabbi, si possono incontrare queste segherie, qui sorte nel XVIII secolo, ora per lo più museali. Cammino e incontro grossi tronchi accatastati in attesa del taglio, con i loro cerchi concentrici che conto minuziosamente per conoscerne l’età. Mi incuriosiscono i segni colorati in blu su alcuni alberi: forse segnali per il taglio del bosco?
Il legno con i suoi profumi lo ammiro nei suoi manufatti; nelle malghe, alcune con tavoli e panche esterne e, mentre sono distesa al sole su uno di questi tavoli, un’aquila volteggia più in alto sopra me, con quel suo stridulo grido. Penso allora che se fosse scesa di quota mi sarei nascosta sotto il grande tavolo con la base formata da quattro tronchi ben lavorati (foto 2. Il tavolo della malga).
Incontro molti piccoli abeti neonati che mi fanno tenerezza, disseminati per il bosco di altura o ai margini dei sentieri che percorro, e mi chiedo se riusciranno a sopravvivere nel loro primo inverno. Il verso delle nocciolaie mi accompagna, insieme a quello dei corvi, o al ticchettio ritmato del picchio nero.
Il legno mi sostiene nei brevi guadi dei torrenti: semplici tronchi sapientemente uniti, o nei bei ponti che attraversano il fiume Noce, come nel comune di Mezzana in Val di Sole, vicino alla nuova stazione ferroviaria della linea Trento-Malè-Mezzana. I vasi pensili di fiori, per lo più gerani o petunie, abbelliscono questi paesaggi come i balconi delle case. (foto 3 e 4: Il ponte di legno con fiori e Fiori che abbelliscono il balcone)
Invidio questa florescenza continua, a scapito dei miei gerani di casa che, con la preoccupazione del gran caldo, forse bagno eccessivamente. Loro,
qui, godono dell’umidità notturna anche nei loro contenitori in legno.
Quello che mi attrae particolarmente e che osservo con rinnovato stupore è la capacità dell’uomo di accatastare la legna per l’inverno in ogni spazio disponibile, accanto e fuori le case. Oltre ai pochi masi di paese, ancora esistenti, tutti in legno, che qui fanno da ricovero per il fieno e la legna, la stessa la trovo riposta, con un’abilità che mi sorprende e mi affascina (foto 5: tabernacolo con legna).
C’è, in questi valligiani, un senso estetico nel riporre la legna per il riscaldamento: è un lavoro che inizia, finito il freddo invernale, e in estate è già concluso con il taglio e la collocazione; si userà per l’anno successivo così che la legna abbia il tempo per essiccarsi.
Che bello questo lavoro alacre fatto con piacere (e con fatica), perché sarà la legna che scalderà le abitazioni durante l’inverno che qui arriva a punte di 10-15° sotto lo zero. Brucerà nelle stufe a ole, rivestite di ceramica, che incontro nelle case, come quella dei proprietari dove risiedo. E’ come se le braccia che lavorano con la sega a motore per tagliare tronchi e tronchetti da sistemare, siano grate di questi movimenti per ciò che sarà utile nell’inverno.
Così gli spazi dove riporla fanno parte di questa cultura del legno, nelle numerose forme geometriche che ne escono; in molti casi la legna si ospita, con i vari tagli, in piccole case di legno appositamente costruite (foto 6: Una casa per la legna).
Al piano terra della casa, il laboratorio del sig. Gianni Moreschini è sempre movimentato di rumori quando il legno viene trasformato in utensili o mobili, carriole da utilizzare nei giardini per accogliere fiori, o per il gioco dei bambini, arcolai perfettamente funzionanti o piccoli utensili per la casa (foto 7: Arcolaio fatto a mano).
Ci sono, nel laboratorio, utensili usati da generazioni precedenti, come lo strumento antico per la filettatura delle viti, costruito dal padre (8 a Foto) e il contenitore in legno decorato, per conservare i crauti (9 a foto)
Il legno mi appa rtiene e mi dà una specie di energia interiore che mi pervade, come nella teoria cinese dei cinque elementi (i modi in cui l’energia o QI si esprime nell’universo) e il legno rappresenta l’energia crescente, in movimento ascendente, simbolo della vita, di qualcosa di nuovo che inizia e si sviluppa, come nella primavera che rappresenta il legno stesso, quando gli alberi tornano in attività dopo il riposo invernale, laddove questa esplosione di energia si stabilizzerà poi in altre fasi, mantenendosi costante.
Mi dà serenità e piacere pensare che il legno, anche attraverso la sua lavorazione da parte dell’uomo, possa circondare la nostra vita ed esserne parte.
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