Articolo pubblicato su IUA n° 4, Anno III, Aprile 2016
Dopo un 2015 che sembrerebbe essere stato l’anno più caldo da quando si eseguono le misurazioni (in realtà pochi decenni rispetto ai secoli di storia vissuta!) e dopo i mesi di gennaio e febbraio ’16 che se possibile hanno fatto registrare delle temperature ancora più elevate, è lecito chiedersi se il processo di riscaldamento climatico sia effettivamente irreversibile e soprattutto a quali trasformazioni andrà in contro il nostro pianeta fra qualche anno, o decina di anni. Una cosa ritengo che sia certa: la verità in tasca non ce l’ha nessuno.
Premesso ciò, forse è utile sottolineare come sia dalla raccolta di dati scientifici (vedi analisi e studio del terreno e dei ghiacciai con annessi carotaggi) sia dai dati storici e culturali che ci sono stati tramandati di generazione in generazione, risulta ben evidente come il clima non sia affatto statico ma piuttosto in continua evoluzione, attraverso un alternarsi di periodi più caldi ad altri più freddi. Nel Medioevo, ad esempio, sembrerebbe che vi siano stati dei periodi anche prolungati con una temperatura media ben superiore a quella attuale, e di certo allora non si poneva il problema dell’influenza dei famigerati gas serra. Molti lettori ricorderanno come, fino a circa dieci anni fa, si riteneva che l’Italia del Sud si sarebbe desertificata nel giro di pochi anni, che l’Artico si sarebbe sciolto del tutto, ecc.; tutto ciò ancora non è avvenuto. Ad ogni modo, sempre ricerche alla mano, sarebbe da stolti negare come negli ultimi decenni il clima di casa nostra non abbia, almeno in minima parte, risentito dell’attività antropica e di un’eccessiva industrializzazione selvaggia. Il punto però è capire realmente l’effettiva influenza di tutto ciò senza farsi condizionare da interessi geopolitici ed economici, che ci possono facilmente sfuggire di mano. Come ho più volte sottolineato in questa rubrica, i pareri scientifici, seppur sempre sbilanciati a favore dell’esistenza effettiva del global warming, non sono concordi, e sempre più spesso si possono leggere articoli che mettono in discussione tale teoria o per lo meno la sua irreversibilità. Fino a tutto il 2014 la tendenza era quella di un rallentamento nel processo di surriscaldamento globale, poi nel 2015 si è avuta una nuova impennata. A cosa potrebbe essere dovuto ciò? Risposte da ritenere attendibili si potranno avere solo fra qualche anno, ma si potrebbe provare a ipotizzare l’influenza di uno dei fenomeni di El Nino tra i più forti degli ultimi decenni. L’apice di tale fenomeno, che ricordiamo non essere altro che un periodico surriscaldamento delle acque superficiali di una determinata porzione dell’Oceano Pacifico, si è avuto proprio in coincidenza con l’ultimo inverno ed è da ritenere probabile che gli eventuali effetti su scala mondiale si possano verificare ancora per buona parte del 2016.
A oggi tale surriscaldamento pare essere in rapido declino, tanto che si ipotizza già un passaggio entro non molti mesi ad una fase opposta, la cosiddetta Nina, che comporta un raffreddamento delle medesime acque. Andrà poi valutato il periodo effettivo in cui si potrà iniziar a parlare di Nina e, soprattutto, quella che sarà la reale intensità del fenomeno. In effetti, non tutti i Nino e le Nina raggiungono gli stessi valori di surriscaldamento o raffreddamento delle acque, e non influenzano allo stesso modo il clima terrestre.
Oltre a quest’aspetto, vi possono essere altri fattori in grado di rallentare il processo di surriscaldamento in atto? Secondo molti studiosi la risposta è affermativa e potrebbe risiedere, ad esempio, nel sole, della cui possibile influenza rispetto al clima terrestre abbiamo già accennato in articoli precedenti. Anche in questo caso, alla domanda se la nostra stella possa o meno esercitare un’influenza per contrastare le temperature al rialzo, la risposta non dovrebbe tardare più di qualche anno. In effetti, ci troviamo in una fase calante in cui il sole, dopo un ciclo per la verità già piuttosto debole, si sta avviando a grandi passi verso il suo minimo, che segnerà poi il preludio alla nascita di un nuovo ciclo. Gli studi in questo campo evidenziano come un sole con poche macchie, e quindi in fase di minimo, comporti un incremento dei raggi cosmici, i quali a loro volta determinerebbero un incremento della copertura nuvolosa con un conseguente abbassamento delle temperature. In relazione alle varie fasi solari potremmo poi accostare le eruzioni vulcaniche, che anche in questo caso sembrerebbero essere maggiori proprio nelle fasi di minimo solare.
La cenere vulcanica che raggiunge la stratosfera tende poi a rimanervi anche per diversi mesi, se non anni, e contribuisce a sua volta a ostacolare maggiormente i raggi solari. Se infine vogliamo ragionare in termini di stagioni invernali, dopo gli ultimi tre anni particolarmente miti e poco nevosi, nei prossimi 4-5 inverni aumenteranno le probabilità di avere almeno una-due stagioni più fredde del solito. Questo perché il minimo solare, in relazione ad altri fattori quali una QBO negativa (vedi altri articoli nella rubrica), dovrebbe contribuire a destabilizzare maggiormente il vortice polare e a rendere più possibili, e soprattutto frequenti, le discese di aria polare lungo i meridiani. In sostanza, in materia climatica non possiamo dare ancora niente per scontato; il consiglio è quello di vivere direttamente con la propria esperienza gli eventuali cambiamenti e a non spaventarsi per le conseguenze nefaste che alcuni mass-media pongono alla nostra attenzione quasi tutti i giorni. Nulla è ancora segnato, sennonché fino ad ora abbiamo avuto una costante ciclicità. Potrà questa essere condizionata dal surriscaldamento? Ai posteri l’ardua sentenza.
Alessio Genovese
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