Racconto pubblicato su IUA n° 5, Anno III, Maggio 2016
La stanchezza infinita della Fenice
Basta, non sopporto più il ripetersi del mio morire e del rinascere.
Ogni volta che succede, l’ultima mia parola è: Perché? Ed è pure la prima parola che ricordo e pronuncio quando risorgo a nuova vita.
Ecco, da sempre ho questa domanda. Da sempre non trovo alcuna risposta se non quella sola, scontata… tu sei un simbolo, accontentati della fortuna che ti è toccata!
Fortuna… già, la fortuna! Come spiegarvi che l’immortalità intesa in questo modo mi corrode l’anima?
Come in un essere o non essere, vivo uno stato di consapevole inconsapevolezza del proprio destino. So che accadrà l’inevitabile, ma un attimo prima, spero sempre che le fiamme non divorino la mia carne.
Se almeno non mi avessero creata con un’anima pensante… forse avrei accettato meglio quest’assurdità. Si nasce. Si vive quel tempo necessario per vivere e poi… ecco le fiamme che si levano alte dal mio nido. Nessun pensiero, nessun dolore, nessun rimpianto e di nuovo pronta per risorgere.
A volte i miei ragionamenti rasentano la follia. Più di una volta mi sono posta il quesito… e se non rinascessi più?
Una domanda che, in verità, una parvenza di risposta l’avrei. Ho paura del vento.
Credo che in questi tempi di miti perduti, si viva sempre nel terrore di esso. Si sa che porta il cambiamento. Spesso radicale e sconvolgente.
Lo so, non si dovrebbe temere di percorrere una nuova strada e che i cambiamenti sono utili. Tuttavia l’angoscia che le ceneri volino fuori dal mio nido per colpa di un soffio troppo forte è tale che sarei tentata d’inseguire il sole.
E sogno di volare felice, senza sosta. Per non vederlo tramontare mai come succede, invece, in quell’attimo prima di ardere nell’eterno ciclo del mio destino.
© Alberto Pestelli 2014
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