Cartolina da un’isola greca
Cefalonia (Kefalonia) ha incuriosito la mia scelta di viaggio, sia per conoscere una delle tante isole ioniche ma anche per la storia dell’eccidio di molti soldati italiani che la occupavano con i tedeschi, poi rivelatisi nemici dopo la decisione dei soldati, soprattutto della divisione Acqui, di non unirsi alle truppe tedesche, in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943.
L’aeroporto di Argostoli, capoluogo dell’isola, dove soggiornerò, è considerato internazionale e di media grandezza.
A 9 kilometri dalla cittadina, è intitolato ad Anna Pollatou, ginnasta, originaria di Cefalonia e morta trentenne in un incidente stradale nel Peloponneso.
La strada che mi porta dall’aeroporto ad Argostoli è ricca di dolci curve che a tratti nascondono la vista del mare tra una vegetazione di tipo mediterraneo e molti olivi. Il mare è splendente nella sua luce tra insenature, piccole baie e spiagge strette tra l’acqua e la terra.
Mi accorgo subito che la gente del luogo è ancorata alla sua lingua greca: anche il taxista che ci ha accompagnate si esprime a gesti, semplici e invitanti, e ci capiamo.
Per tre volte ci ha assicurato che l’ingresso del B&B era quello. In effetti nell’isola ci sono tantissimi ‘studios’ come in tutte le isole greche. Sono piccoli appartamenti con angolo cottura, condotti a livello familiare come il nostro.
Un po’ stordite lasciamo i bagagli e cerchiamo un locale per la cena, scegliendo tra taverne indicateci dai residenti.
Subito guardo la carta del menù o ascolto cosa ci propongono. Sono contenta di immergermi nella ristorazione greca con i suoi cuochi e camerieri, che si sforzano di parlare inglese, magari studiato in loco, nei mesi invernali.
La scelta dei cibi mi incuriosisce sempre perché mi piace provare gusti nuovi e ricette lette in precedenza. Abbiamo sempre cenato all’aperto con la brezza della laguna di Kutavos, che si affaccia per la gran parte sulla strada principale di Argòstoli ed è divisa dal ponte inglese.
Gli inglesi occuparono le isole Ionie dal 1809 sotto il comando del Lord Commissario inglese. Nell’altra sponda della laguna, raggiungibile a piedi dal ponte inglese, si innesta la strada che porta, a destra, ad Argostoli e a sinistra nella parte interna e montuosa dell’isola.
Scelgo la Moussaka e l’insalata greca, accompagnate da salsa tzatziki in una piccola ciotola. La Moussaka è un insieme di melanzane, carne macinata di diversi tipi, e la besciamella che, con il suo tocco, la allontana dalla sua origine orientale per avvicinarla al gusto francese. In altri giorni è stato piacevole assaggiare il pasticcio di carne (kreatopita), sfoglia ripiena con carne di montone, maiale e manzo, cipolle, aglio (molto usato), patate, riso, pomodoro e spezie. Anche la famosa insalata greca (horiatiki), con pomodoro, cetriolo, peperoni verdi, cipolla, olive nere e formaggio feta, è stata per me un gustoso unico piatto.
Una sera ho scelto il Gyros in cui, all’interno di una piadina arrotolata, si trova carne di maiale, pomodoro, cipolla, patatine fritte e salsa Tzatziki. Anche la Dolmadakia: gustosi involtini di fogli di vite ripieni di riso. C’è stato anche il pesce nei menù scelti ma, in quei giorni, ho preferito piatti di carne che solitamente non mangio. E il vino? Io non bevo vino ma è molto rinomato il Robola, vino bianco di prima qualità, i cui vitigni vengono prodotti in zone collinari e montuose dell’isola.
Tutte le mattine andavamo al molo tra pochi pescatori locali che vendevano i loro pesci e, accanto, nell’acqua, si avvicinavano le grandi tartarughe marine Caretta-Caretta, forse abituate dai pescatori a mangiare qualche piccolo pesce a beneficio dei turisti che si affacciano al molo per osservarle. Le tartarughe, in queste isole greche, sono costantemente monitorate e penso che qui, nelle acque calde di questa laguna, trovino il loro habitat naturale.
Argostoli è una cittadina diventata turistica ma, in certi punti, conserva la sua originalità, come al faro, alto 8 metri e di stile dorico, dove le donne del luogo si rifugiano per fare il bagno; altrimenti, per le spiagge, si deve raggiungere Lassi, anche con l’autobus cittadino. Ogni corsa costa 2 euro, per i luoghi distanti anche trenta chilometri e più. Tralascio le due arterie principali della cittadina con negozi di souvenir e boutique che la fanno assomigliare a qualsiasi città turistica. Qui comunque incontro un negoziante che parla italiano e mi indica, vicino, un piccolo museo accanto all’unica chiesa Cattolica di Cefalonia, che protegge i cimeli della Divisione Acqui, che aveva il suo presidio militare nel Palazzo del Tribunale.
Già nel 1940 il governo italiano, che occupa le isole ioniche con le sue truppe, presenta alla Grecia un ultimatum anche se la resistenza greca è molto attiva. Con l’aiuto della Romania e Bulgaria e l’intervento tedesco viene firmato infine un armistizio, nel 1941. Le isole Ionie, fra cui Cefalonia, vengono annesse all’Italia. Intanto il movimento di liberazione greco diventa forte e anche a Cefalonia, nell’agosto del 1943, si costituisce il Fronte Nazionale di Liberazione greco. L’8 settembre del 1943 viene reso noto l’armistizio dell’Italia con i paesi delle Nazioni unite e immediatamente i tedeschi, ex alleati, per paura che vengano indebolite le proprie posizioni, disarmano le divisioni italiane, tranne la Divisione Acqui che, con il generale Gandin, occupa Corfù e Cefalonia. Ad Argostoli i soldati italiani e i patrioti greci disarmano il presidio del genio tedesco. Diventa diffusa l’avversione a cedere le armi. Dal 15 settembre iniziano i combattimenti contro i tedeschi delle nostre truppe, aiutate dai patrioti. Infine, la resa della Divisione Acqui. Muoiono molti italiani: i caduti sono 4000 (anche se ricerche recenti parlano di 2500 morti). Dopo la resa della Divisione Acqui, la vendetta tedesca si concentra sugli ufficiali, quasi tutti prigionieri, in totale più di 300. Quaranta ufficiali vengono costretti ad aderire alla Repubblica Sociale Italiana e trasferiti in Germania. Il generale Gandin assieme a molti altri viene fucilato. Nel novembre del 1944 i militari italiani rimasti a Cefalonia, insieme ad altri venuti dal continente che avevano combattuto con la resistenza, rientrano in Italia. Le spoglie dei soldati uccisi a Cefalonia sono collocate, dal 1967, nel Sacrario dei Caduti Oltremare di Bari.
A Cefalonia si racconta che molti soldati italiani, durante l’occupazione, si innamorarono delle donne isolane e alcuni rimasero nell’isola. Sono pochi, oggi, che parlano italiano: perlopiù uomini vecchi.
Il piccolo museo accanto alla Chiesa raccoglie molte fotografie e cimeli. Alcuni italiani hanno fondato un’associazione e tengono aperto il museo, con una delegazione di volontari che viene dall’Italia. Ho conosciuto un uomo che è vissuto tra Milano e Torino e fa parte dell’associazione che mi mostra, con orgoglio, la foto del padre soldato a Cefalonia, poi fucilato. Le persone dell’associazione si danno il turno per tenere aperta la Chiesa e il Museo, soprattutto in estate ma anche nelle commemorazioni ufficiali dell’eccidio, quando delegazioni governative che provengono dall’Italia, salgono la collina sopra al faro, più precisamente Cima Telegrafos, dove, dal 1978, lo Stato Italiano fece erigere un monumento ai Caduti italiani di Cefalonia.
Sono calde le giornate pur essendo settembre, e ancora molti turisti inglesi qui passano le vacanze. Costituiscono la maggioranza dei turisti presenti. Il sole brucia sulla pelle e viaggio sempre con una scorta di acqua. La mia pelle da ambrata è diventata marrone e oggi, giovedì, salgo nell’autobus che in questo giorno della settimana raggiunge il Monastero ortodosso di Agios Gerasimos, (San Gerasimo), patrono dell’isola; meta di pellegrinaggi locali e anche da tutta la Grecia. È un edificio in stile bizantino e tale ricostruito dopo il terremoto del 1953. Gerasimos arrivò a Cefalonia nel 1555 e trascorse i suoi primi cinque anni in una grotta presso Lassi, poi si trasferì nell’altipiano di Omala dove fondò il Monastero e si prese cura dei bisognosi e dei poveri. Dopo la sua morte fu riesumato per ben due volte e il corpo risultò sempre intatto. Il corpo del santo si trova ancora oggi, intatto, in una teca. Fu canonizzato nel 1622. Il Santo è noto per le sue miracolose capacità legate alla cura delle malattie mentali.
Sono entrata indossando una specie di gonna grigia che vedevo indossare dalle altre donne e che si trovava appesa prima della porta di ingresso. I Monasteri che oggi sono meno restrittivi, come questo, lasciano entrare donne con pantaloni; basta che ci sia un decoro nella copertura delle gambe e delle spalle. Sotto la cappella del Santo c’è una piccola scala a pioli che conduce a un antro buio dove vedevo scendere dei pellegrini controllati da un monaco. Ho capito che si trattava della grotta dove visse il Santo.
La grande chiesa, costruita nel 1922, è riccamente decorata con affreschi, bellissimi per chi piace l’arte bizantina, con scene dell’Antico e Nuovo Testamento. Ricco di marmi bianchi e un imponente e aereo lampadario sospeso alla croce del transetto. C’è molto silenzio e pochi visitatoti; i pellegrini affollano invece prevalentemente la cappella. Qui, qualcuno scrive dei biglietti da far leggere ai monaci nelle loro funzioni. Anche io ho scritto in italiano: chissà se lo avranno letto.
È giunta l’ora della ripartenza dell’autobus e mi soffermo fuori dal Monastero in una bancarella che vende miele: è un prodotto molto diffuso come l’olio e i formaggi.
Questa volta tralascio il servizio pubblico dei trasporti (vanno anche ad Atene!) e mi concedo un tour in bus turistico con guida che raggiunge il nord dell’isola, montuoso rispetto alle valli e le colline verso sud. Il paesaggio montano, le cui cime non superano i 1629 metri di altitudine (Monte Enos), è ricco di vegetazione e di pascoli in cui scorgo molte capre. Alle curve montane sono abituata e qui ammiro gli autisti, bravissimi in certi passaggi. Dall’alto scorgo la baia di Mirtos, dicono una delle più belle spiagge dell’isola (non immaginatevi le lunghe e larghe spiagge dell’Adriatico italiane) con un mare invitante, anche se la guida ci dice di fare attenzione alle correnti. Sempre dall’alto ammiriamo come il bus scende poi al paese di Assos con il suo castello veneziano del XVI secolo che si raggiunge dall’istmo abitato della cittadina. Nel paese la gente sembra farsi cullare come le imbarcazioni del piccolo porto mentre si gode l’affabulazione di anziani sulle panchine o le conversazioni dei turisti nei piccoli bar.
Arriviamo alla punta nord dell’isola, Fiskardo, molto bella ma che assaporo con noia: troppa gente, troppo affollata, troppo sfruttata dalla ristorazione, bar, negozietti vari. Ci sono dei punti così stretti che mi chiedo come facciano le persone sedute ai tavolini a non cadere in acqua. Si gira a piedi questo piccolo promontorio e ci si trova di fronte ad un mare stupendo con insenature verdeggianti e, di fronte, l’isola di Itaka che si raggiunge, con un battello, da Sami, cittadina che ho visto dall’alto della strada di ritorno ma che non sono riuscita a visitare con il suo Museo Archeologico.
Nell’andata ci siamo anche fermati a Melissani e al piccolo lago interno ad una cava rocciosa, molto suggestivo e abitato da volatili fra cui i pipistrelli. La guida ci dice che una serie di piccole gallerie sotterranee naturali incanalano l’acqua nell’isola, che poi viene utilizzata.
Ogni luogo ha il suo fascino interiore e naturalmente ciò dipende dalle personalità di ognuno di noi. Avrei desiderato più tempo a disposizione per raggiungere altre parti dell’isola come Lixouri, prolungamento di essa verso ovest e facilmente raggiungibile da un traghetto che parte dal molo di Argostoli più volte il giorno con trasporto auto. Sì, devo dire che mi è piaciuta la parziale scoperta dell’isola e della sua gente, così come l’avventura del ritorno quando, per maltempo, gli aerei, per una sera e una notte non hanno potuto né decollare nè atterrare. Anche questa rientra tra le sorprese, finite poi bene, del viaggio.
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