Riflessione estiva sui Giochi olimpici e sui veri valori dell’essere umano
Questa che stiamo trascorrendo è un’estate rovente, con picchi di afa insopportabili anche nel mio amato ‘buen retiro’ in campagna; l’acqua della piscina non è più ghiacciata ma oramai tiepida e perciò gradevole per chi un tempo se ne sarebbe tenuto alla larga come gli anziani, i bambini piccoli, le signore con occhiali e cappello che mai si bagneranno la chioma fresca di parrucchiere. Ora sono tutti lì, soprattutto il pomeriggio, a contendersi quei venticinque metri di refrigerio coi ragazzini che amano giocare a tuffarsi e schizzarsi. Dunque in piscina si va di mattina, c’è meno gente, e all’ora di pranzo ci si rifugia in casa a trascorrere le ore più calde, imposte chiuse, tapparelle abbassate, penombra che invita a sonore dormite.
Ma questa è un’estate che ricorderemo anche per altre cose che sono capitate e mi hanno coinvolto. Per esempio le Olimpiadi appena terminate: le Olimpiadi di Parigi 2024. Da brava amante dello sport, sia praticato che solo tifato, le ho seguite sempre con grande piacere, anche se a volte mi è capitato di addormentarmi di botto e risvegliarmi a giochi conclusi almeno per quel giorno. Ho ammirato la fantastica tecnologia delle bici su pista, sia maschile che femminile, vedendo come gli atleti si trasformassero in veri razzi umani arrivando a sfiorare i 75 km all’ora.
Uno sport che adoro e che ho praticato molto è la vela. Adesso l’invenzione del ‘foil’, quella barra che si applica alla tavola o allo scafo e consente di planare o navigare sospesi sulla superficie dell’acqua, rende ogni regata spettacolare. L’atletica, il judo, le nuotate nell’acqua poco salubre della Senna, la scherma elegante; è stato divertente vedere persino la new entry: la ‘break dance.’
Ma i veri protagonisti indiscussi sono stati gli atleti. Ho amato quei giovani belli, coraggiosi, orgogliosi, che esibivano con noncuranza i loro corpi perfetti, tesi nella concentrazione della prova. Chi cercava il sostegno e il calore del pubblico, prima del salto, chi invece chiedeva e otteneva immediatamente il silenzio per meglio concentrarsi. Ognuno dava il meglio di sé in una prova di pochi minuti ma costata anni di sacrifici enormi e immensa fatica. E dopo, qualunque fosse stato il risultato ottenuto, abbracci solidali piangendo insieme, urla di gioia nell’esaltazione della riuscita, strette di mano fra vari i concorrenti, anche gli ultimi. Non tutti certo, mi ha molto colpito l’incontro di boxe dell’atleta algerina poi medaglia d’oro contro la nostra pugile la quale si è ritirata dopo circa un minuto. Non so cosa avrei fatto io se fossi stata lì al suo posto, in ogni modo considero la boxe uno sport troppo violento tanto che non riesco più a guardarlo senza stare male e lo toglierei immediatamente dai giochi olimpici.
Insomma, mi pare che tutto sommato queste Olimpiadi ci abbiano mostrato dei veri ‘sportivi ‘ nel senso più nobile del termine, con buona pace di Le Coubertin. Ho visto soprattutto ragazze e ragazzi soddisfatti di essere lì, grati di aver gareggiato, felici di partecipare a quella grande kermesse che li univa per un po’ di tempo anche se erano nemici o provenienti da nazioni in guerra.
L’ho trovato un ottimo messaggio in questa nostra civiltà occidentale basata sulla competizione sfrenata, sulla vittoria e il fallimento.’ Se non vinci sei un fallito.’
Questo è il mantra quotidiano nella politica, nella tecnologia, nell’autopromozione di questo capitalismo moderno che adora veder soccombere il perdente in quanto si nutre di competizione, di desiderio, come un vampiro.
Il fine giustifica i mezzi. Per il capitalismo e per la sua ingannevole pubblicità tu devi desiderare sempre e continuamente, devi essere dipendente dal desiderio, un drogato del desiderio. Altrimenti come posso continuare a venderti tutte le cose che produco e di cui tu non hai assolutamente alcun bisogno?
‘ Devi’ mantenerti bellissimo e giovane, essere il Maschio-Alfa che non deve chiedere mai e spruzzato di profumo costosissimo ti ‘devi’ aggirare sgommando sulla tua ultima mega-automobile, sul tuo Suv sempre più grande ed accessoriato se vuoi essere alla moda, in qualche paesaggio lunare o desertico. Si perché quelle auto gigantesche ormai non entrano più nelle nostre comuni strade cittadine e magari neanche nei garage.
‘Perché tu vali.’ E con questo si continua a giustificare la vendita di sciocchezze costosissime e superflue, utili a viziare e blandire il consumatore.
Nelson Mandela, ho letto recentemente, diceva: ” io non perdo mai, o vinco o imparo”: I nostri atleti amano vincere, è giusto, fanno progetti, si allenano duramente ma se non hanno vinto una medaglia hanno reagito con dignità mescolando le lacrime del vincitore con quelle del perdente. Infatti una gara, una competizione finisce e domani ce ne sarà un’altra e un’altra ancora.
La vita è una prova infinita in cui si vince, si perde, ma soprattutto si impara. Non esiste il fallimento, non siamo peggiori o meno meritevoli se non ‘raggiungiamo gli obbiettivi’, che mi ricordano tanto la carota messa davanti al cavallo per indurlo a saltare l’ostacolo. Non siamo dei falliti se non ci adeguiamo alla maggioranza del gregge conformista. E poi vincono anche gli altri, non sempre noi. Il nostro compito è impegnarci con la nostra vita, coi nostri amici e familiari, fare del nostro meglio fra incertezze e soddisfazioni. La vita è questa, vinciamo qualcosa, perdiamo qualcos’altro e viceversa, in questo scorrere del tempo che tutto livella e aggiusta con estrema saggezza. Quel tempo che se ne infischia del capitalismo, delle mode e dei desideri degli uomini.
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