Articolo pubblicato su IUA n° 11, anno IX, Dicembre 2022
Mi accade sempre più spesso, mentre mi dirigo in macchina alla mia casa sugli Appennini nell’alto Mugello, non appena attraverso i boschi di faggi, querce, pini, di sentire il cuore aprirsi ed alleggerirsi. Un senso di pace e armonia mi pervade, a volte addirittura accosto la macchina sul bordo della strada e osservo con affetto gli alberi che pare si protendano verso di me in un abbraccio. Sembrano vecchi amici in paziente attesa della mia visita. Anzi sono vecchi amici che conosco perfettamente ormai da molti anni.
Una volta mi fermai ad una piazzola e scesi dall’auto cercando di osservare attentamente il dirupo scosceso di fronte in cerca di qualcosa, magari un fungo.
Era la stagione giusta ed io ero dovuta restare a Firenze per impegni. Mentre mi chiedevo “Come sarebbe bello se adesso vedessi un fungo…” Eccolo lì, proprio sotto i miei piedi!
Certamente era un regalo fattomi dai miei amati boschi. E io li ringraziai con sincero affetto, abitudine quella di ringraziarli che ha mantenuto ogni volta che raccolgo un loro dono, una noce, una insalata. Sono certa che loro mi ascoltano e ne sono contenti.
Abbraccio ormai da tempo i tronchi degli alberi alti e grossi. È diventato un gesto quasi automatico e ne traggo un beneficio immediato, la rugosità della corteccia calda, il tepore delle radici mi attraversano i pori e mi penetrano. Mi pare quasi di provare sensazioni diverse se tocco un tiglio o una quercia o un pino. La sequoia che ho abbracciato furtivamente, perché era vietato, nel parco delle Terme di Riolo, mi sembrava parlasse un linguaggio universale, ancestrale.
Bene, posso sembrare pazza o esaltata? Forse il mio amore per la natura sta crescendo un tantino troppo?
Eppure leggendo il libro di Monica Gagliano “Così parlò la pianta” che non può non ricordarmi il ‘nicciano’ “Così parlò Zaratustra”, ho trovato una risposta confortante alle mie domande. Bisogna ascoltare, aprirsi per capire anche il linguaggio delle piante.
Monica Gagliano è una ricercatrice che sta cambiando radicalmente il modo di pensare la vita. Ma la vita nella sua totalità.
Le piante parlano? Ci parlano? E che ne è della pianta in noi?
In questo suo libro impariamo qualcosa della loro sensibilità, emotività. Il suono delle piante può essere udito usando un registratore. Il che già pare un fatto strano, non scientifico. Eppure molti scienziati oggigiorno studiano l’intelligenza delle piante, la loro capacità di imparare e ricordare eventi passati. Può sembrare strabiliante, assurdo. E che conseguenza può avere su di noi?
Innanzitutto un limite morale. La ricerca scientifica sulla vita è giustificata sempre, in ogni circostanza? Oppure possiamo e dobbiamo condurre la nostra ricerca senza massacri di altre forme di vita?
E ancora, esiste la moralità? Esistono dei limiti alla moralità? Non esiste solo l’umano, il gruppo, la società che promulga determinati codici morali, ma anche altri agenti, altri partecipanti non umani. E qui non si tratta di accettare i diritti degli animali, o di altre forme e specie viventi.
È qualcosa che mette insieme la scienza sperimentale e la metafisica, lo spirito. Un tentativo nuovo ed emozionante, qualcosa che personalmente avverto sempre più. Non il prevalere di un punto di vista sull’altro, ma proprio l’unione, l’armonizzarsi di diversi approcci.
Come non pensare al film “Avatar” il rapporto stretto fra quegli esseri e la natura in cui vivono e soprattutto l’albero magnifico entro cui muoiono e si rigenerano?
Un’altra osservazione della Gagliano mi è rimasta impressa: la vera ricerca scientifica è fatta in collaborazione, all’interno della natura relazionale, perché la vita nella sua totalità dovrebbe avere diritto di parola.
La scienza moderna, figlia dell’illuminismo, ha ancora un’immagine molto coloniale di sé. Tutto riguarda la conquista. Al centro c’è l’uomo, certo siamo umani e la nostra visione non può che essere antropocentrica, così come lo è la nostra esperienza.
Ma quando l’antropocentrismo è impugnato come arma coloniale per prevalere sull’altro, differenziamo l’umano da tutto il resto.
Apparteniamo al mondo animale eppure ci siamo eletti al di sopra di ogni altra forma di vita. Ma in questo modo come possiamo risolvere il dilemma di conoscere l’altro?
Dobbiamo ascoltare la pianta che è in noi, il nostro essere intero, viscere, carne e sangue. I nostri corpi non sono sigillati rispetto al mondo esterno. I nostri corpi sono sistemi permeabili, aperti, che interagiscono con l’esterno, incorporando gli altri, in questo caso le piante. Ecco che il nostro antropocentrismo diventa un limite che possiamo superare solo se ci approcciamo con umiltà alla vita in ogni sua forma.
In ogni caso da oggi proverò un piacere ancora maggiore ad abbracciare le piante e ad ascoltare quello che hanno da dirmi.
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