La montagna è fatta per tutti, non solo per gli alpinisti: per coloro che desiderano il riposo nella quiete come per coloro che cercano nella fatica un riposo ancora più forte.

Guido Rey

Moltissime Sezioni del CAI (Club Alpino Italiano), dislocate nelle varie regioni italiane, nell’ambito delle competenze e dell’attività istituzionale, collaborano con le Aziende Sanitarie Locali nella realizzazione di esperienze che possano essere terapeutiche ed educative, calate proprio in ambienti montani, per le  varie espressioni di disagio psichico, di emarginazione, e di diversa abilità.

La montagna viene promossa così a luogo di riabilitazione dove emozioni, paure, limiti e potenzialità   vengono condivise in gruppo e la messa in azione del rispetto reciproco è sempre la base e l’anima dell’esperienza.

Quell’esperienza in cui corpo e mente s’incontrano: l’individuo non è solo, ma fa parte integrante di un gruppo, e tutto lo spazio circostante percorso è protagonista assoluto del movimento che avvicina e rende “prossime” le persone, riducendo le differenze. Tutto ciò ha un termine: MONTAGNATERAPIA. Fu utilizzato per la prima volta a un Convegno Nazionale CAI dal titolo “Montagna e solidarietà: esperienze a confronto”, nel settembre 1999 a Pinzolo (TN). Ecco che si viene a realizzare una nuova scoperta, che è quella della Bellezza inclusiva della montagna. Una montagna che non fa differenze tra gli uomini, che accoglie senza pregiudizi, dove le distanze sono relative e si ha la percezione di una maggiore libertà raggiunta. Dal 2005 ad oggi la rete nazionale di Montagnaterapia si è incontrata con cadenza biennale a Riva del Garda(2004/2005), Passo Pordoi (2007), Bergamo (2010), Rieti (2012), Cuneo (2014), Pordenone (2016), Sanluri (2018).

 Nel 2007 Giulio  Scoppola (psicologo, psicoterapeuta, ideatore della Montagnaterapia in Italia) definì il termine: “approccio metodologico a carattere terapeutico-riabilitativo e/o socio educativo, finalizzato alla prevenzione secondaria, alla cura e alla riabilitazione degli individui portatori di differenti problematiche, patologie o disabilità; esso è progettato per svolgersi, attraverso il lavoro sulle dinamiche di gruppo, nell’ambiente culturale, naturale e artificiale della montagna. La montagnaterapia rivolgendosi all’interezza e all’inscindibilità della persona e del sé, considerato nella fondamentale relazione con il contesto secondo il paradigma bio-psico-sociale, si pone l’obiettivo della promozione di quei processi evolutivi legati alle dimensioni potenzialmente trasformative della montagna.

La montagnaterapia si attua prevalentemente nella dimensione dei piccoli gruppi (dai tre ai dieci partecipanti) anche coordinati fra loro; utilizza controllate sessioni di lavoro a carattere psico fisico e psico sociale (con forte valenza relazionale ed emozionale) , che mirano a favorire un incremento della salute e del benessere generale e, conseguentemente, un miglioramento della qualità della vita. Nella montagnaterapia, per raggiungere gli obiettivi prefissati, gli interventi socio-sanitari si articolano e si integrano con le conoscenze culturali e le attività tecniche proprie delle discipline della montagna (frequentazione dell’ambiente montano, pratica escursionistica o alpinistica, sci, arrampicata ecc.), per tempi brevi o per periodi della durata di alcuni giorni (sessioni residenziali), nel corso dell’intero anno. Il lavoro viene in ogni caso integrato con gli eventuali trattamenti medici, psicologici, e/o socio-educativi già in atto. Le attività di montagnaterapia richiedono l’utilizzo di competenze cliniche e l’adozione di appropriate metodologie che riguardano anche la specifica formazione degli operatori e la verifica degli esiti e vengono progettate e attuate prevalentemente nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, o in contesti socio-sanitari accreditati, con la fondamentale collaborazione del Club Alpino Italiano (che ne riconosce ufficialmente le finalità e l’Organizzazione Nazionale), e di altri Enti o Associazioni del Settore”.

L’attività di Montagnaterapia venne pensata in Francia all’inizio degli anni Ottanta, in un Istituto manicomiale di Charleville-Mezieres, dove un infermiere decise di accompagnare qualche paziente in montagna, portandolo secondo le sue parole “al cospetto dei ghiacci dove riaffiorava la loro umanità”.              

Gli aspetti benefici si notarono subito. Anche in Belgio venne adottata l’esperienza nel campo delle tossico dipendenze, fino in Italia: inizia  la Lombardia con i tossicodipendenti e il Trentino, grazie al medico psichiatra Sandro Carpineta che coinvolse  i centri diurni. Tra i tanti contributi di Sandro Carpineta ricordiamo le sue parole: “Tra tante altre una nuova frontiera è stata superata: la montagna, da alcuni anni, è diventata anche uno scenario per affrontare e vivere la disabilità, la cosiddetta diversità o patologia. In Italia sono centinaia le esperienze rivolte a ipovedenti, a persone con disturbi psichici, a portatori di handicap o disabilità fisiche, a bambini in difficoltà, a marginali, persone dipendenti da sostanze, a portatori di patologie specifiche come quelle cardiologiche, oncologiche, ortopediche. Storie, sofferenze, percorsi di vita che hanno trovato nella montagna, escursionismo, speleologia, arrampicata, alpinismo risposte che altrove non avevano ancora trovato.” In assenza di performance sportiva, il sentimento della vita come continua trasformazione nella natura determina cambiamenti importanti, a volte radicali, negli stessi spazi senza confini.

E così anche la sezione del CAI di Cagliari stipula dal 2015 un progetto di collaborazione tra gli Operatori del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl e i volontari del CAI per lo svolgimento di progetti di Montagnaterapia a favore degli utenti del CSM (centro di salute mentale). La Asl con il suo carico di competenze tecniche specifiche nel campo della diagnosi, terapia e riabilitazione del paziente psichiatrico, il CAI, nel suo ruolo di promozione e tutela dell’ambiente montano e dei valori sottesi di solidarietà e cooperazione, e con le competenze tecniche e culturali, nonché esperienziali, di frequentazione della montagna dei propri soci. Ed è così che nell’impegno di un nostro compagno e socio CAI, psicologo e specializzato in montagna terapia, nel ricercare, tra i tanti soci, dei volontari disponibili alla collaborazione, io e mio marito ci siamo ritrovati  a “immergerci” in questa nuova, dinamica, sorprendente e coinvolgente esperienza da vivere, ma non solo, soprattutto in quelle che sarebbero state poi impostazioni relazionali buone, vere e costruttive, mirate ad ottenere obiettivi umani, motori, propriocettivi e autonomistici.

Il nostro “si“ ci catapultò a Pordenone con un bel gruppo di utenti e l’equipe sanitaria del CSM referente. Dal 16 al 19 novembre 2016 il quinto Convegno Nazionale di Montagnaterapia vide la nostra partecipazione ben motivata. Eravamo “carichi” e ultra contenti che con noi ci fossero anche i nostri “amici”, come ben presto vennero da noi appellati, e non più utenti, che non ebbero paura a prendere la parola all’apertura degli interventi. Il titolo del Convegno: “Lo sguardo oltre, sentieri di salute”, organizzato dalla macro zona Veneto Friuli. Oltre 400 i partecipanti, suddivisi in relazioni e sessioni di oltre sessanta realtà, provenienti da diverse regioni italiane che si confrontavano insieme, per quattro giornate piene. Tutto potenzialmente teso ad aiutare “gli amici” nel superamento delle difficoltà, nel potenziamento delle abilità relazionali per una maggior integrazione sociale e miglioramento della resilienza. Ma che dico? Le mie ultime parole sembrano rivolte solo a un canale direzionale.. ”loro”… con tanti problemi con tante domande con tante paure.. Appunto, che dico? I canali sono due… i tanti accompagnatori… E noi e loro formiamo semplicemente un “Noi” allargato, con tante opportunità di crescita per entrambi e con tante sperimentazioni del sé per ciascuno, perché Montagnaterapia è per tutti e per ognuno, e tutti nell’esperienza facciamo montagnaterapia: un’esperienza educativa per tutti.

La meta, l’allenamento, la fatica, sono i mezzi a disposizione per misurare forze e limiti. La restituzione dell’esperienza non è altro che la motivazione che ci ha spinto a farla e la relazione stabilitasi con tutto il gruppo. Il desiderio di cambiamento è un nodo che viene al pettine. L’esperienza si fa pelle, che ti accompagna non solo “dentro” la montagna ma anche fuori, in altri contesti. Alcuni cambiano stile di vita, altri si perdono ancora… Lo stile di vita precedente a volte è lo zoccolo duro da superare, è quel vuoto da colmare che la montagna può curare. La parola “educatore” a questo punto può risultare stonata… non ci sono modelli, non ci sono obblighi, siamo tutti come degli specchi in cui, nella stessa esperienza, ci si può riflettere e accorgersi delle tante storture che ci accompagnano. Perciò tutti possiamo essere propositivi di crescita personale e di gruppo. Tutto ciò acquista “senso” se nel camminare mettiamo in conto il cambiamento. Come la natura cambia col sole, pioggia, vento, panorami, cime, valli, boschi, pareti, fiumi, nuvole così l’andare, la riflessione, l’elaborazione, l’impegno, la rinuncia, la fatica, la conquista, l’attenzione all’altro, l’acquisizione della fiducia portano più facilmente all’accettazione dei propri limiti e a una maggior responsabilità di sé e degli altri. E proprio partendo dall’esperienza che alcuni osano nel forzare le proprie difese, e uscire, così, da uno stile di vita che non aiuta a vivere. Ma quel saper rientrare dentro se stessi per poter impostare “la buona relazione” fa sì che si cominci a salire mettendo da parte la paura. Quella paura che li accompagna fedelmente: la paura del vuoto, la paura di non farcela, la sfiducia in se stessi, il non riuscire a superare i propri limiti. Ed ecco che, rischiando, iniziano a guardarsi dentro e attorno e realizzano che quel passato può essere accantonato e si abbracciano stretti alle relazioni con altre prospettive in divenire e insieme… in gruppo il singolo si sente forte e più protetto. La montagna che educa trasmette un nuovo modo di stare nel mondo e di camminare, tanto e ancora, verso il maggior benessere e la salute. Non ci sono più ruoli: accompagnatori, sanitari, educatori, assistenti, tecnici CAI, si inizia tutti a camminare con un unico passo adattandoci al passo del più lento, e si arriva compatti tra di noi e con l’ambiente naturale circostante, con la gioia di aver saputo condividere il percorso e qualche lacrima.

Volevo arrivare sino a qui: questo piccolo gruppo di volontari CAI di Cagliari, unitamente al CSM di Cagliari Ovest, per cinque anni ha organizzato escursioni mensili  sulle più svariate montagne sarde: tra queste quella di Tiscali- Supramonte di Dorgali Oliena che tanto ha entusiasmato i partecipanti. Abbiamo preparato un percorso ad anello di circa 8 km (a/r) con dislivello di 500 m s.l.m. Difficoltà E. Questo percorso prevede la partenza dalla Valle di Lanaitto con passaggio da Oliena, o, più interessante, da “Surtana” Dorgali.

La partenza è dalla Valle di Lanaitto nei pressi della zona di confine tra il Supramonte dei due comuni di Oliena e Dorgali. Dal fondo valle ad una quota di 200m. s.l.m. dopo un breve tratto su una strada a fondo naturale, il sentiero si inerpica lungo il versante Nord/Nord Ovest della Curtigia di Tiscali, il tacco calcareo che ospita la dolina. Il sentiero è ben tracciato e nella seconda parte del percorso si presenta piuttosto ripido. In poco tempo si arriva alla Dolina che ospita il famoso Villaggio Nuragico. Infatti, questo luogo, affascinante e misterioso, era la sede di un antico villaggio nuragico costruito in una grande dolina creatasi dal crollo di una grande grotta, appunto, del monte Tiscali, quindi ben nascosto e protetto, al contrario di come invece siamo stati abituati a vedere i nuraghi. I resti nuragici e delle vecchie capanne sono ben visibili, anche se lo stato di conservazione dei luoghi dovrebbe ancora migliorare. La vegetazione è quella tipica della macchia mediterranea, con preminenza delle specie che prediligono i terreni calcarei, esemplari di lecci, fillirea, lentischi, ginepri e altre specie vegetali  tipiche del Supramonte Sardo.

L’esperienza di Montagnaterapia a Cagliari è solo di tipo escursionistico, non scaliamo, semplicemente camminiamo cercando di misurare, e far misurare, a chi si accompagna, le  forze in maniera consapevole  e, in sicurezza, raggiungere dislivelli sempre maggiori con escursioni  di media difficoltà. Grazie all’esperienza di questi anni di volontariato CAI ho potuto recepire quanto possa essere deleterio e  devastante lo “stigma”, combattendolo in primis dentro me stessa e poi in difesa del disagio stigmatizzato nei più svariati ambienti. La Montagnaterapia si è rafforzata con la Legge Basaglia che “porta fuori” i soggetti affetti dai più differenti disagi psichici. È grazie alla Legge Basaglia che si son potuti progettare altri modelli di relazione. Nelle nostre uscite montane non ci sono diagnosi, ma solo persone che si aiutano, condividono, partecipano e, passo dopo passo, cercano di superare paure, panico, rischi, problematiche fisiche ed emotive, migliorando sensibilmente nel raggiungere una meta, perseguita nella fatica e nel sacrificio. La montagna diventa realmente palestra di vita che insegna a non arrendersi davanti a qualsiasi difficoltà.

Con queste convinzioni abbiamo accompagnato i nostri “guarenti”sino in Val Pellice, dove c’è stato il bellissimo incontro con Ornella Giordana, referente per la Montagnaterapia a livello Nazionale in Commissione  Centrale Escursionismo e del gruppo la Montagna che Aiuta del CAI di Torino, e il Dott.Marco Battain delegato della Commissione Centrale Medica di Montagnaterapia del CAI Torino. Insieme, tutti insieme, in Val Pellice con i nostri e i loro “guarenti”. A fine cammino “le restituzioni” (elaborazioni dell’esperienza fatta) sono momenti importantissimi e indefinibili… in cerchio si parla tutti, uno alla  volta, ognuno cercando di ricomporre i propri pezzi a turno. Sensazioni, emozioni, paure, risultati, progressi… si tocca con mano la crescita dell’autostima e ci rimbalza addosso, a noi operatori e accompagnatori: la nostra soddisfazione a fronte dei benefici riscontrati. Sui sentieri che sfidano qualsiasi pregiudizio, ci si sente tutti parte di un vero gruppo in cammino…

L’anno successivo (prima dell’avvento del Covid) terminò con una sintesi escursionistica sul Pasubio. L’esperienza ha voluto ricordare territori storici, teatro, purtroppo, di grandi carneficine. Dalle parole di un combattente: “Questo inferno di sangue, fango e merda”, con pidocchi, ratti e cecchini che sparavano addosso. Non è facile entrare dentro questa immagine, immedesimarsi in quell’inferno… quando non è stato vissuto. I nostri percorsi accanto alle rovine di trincee, buche, croci, gallerie, riportavano l’emozione di un cammino in un territorio “sacro”. Sentivamo la consapevolezza di voler fissare “l’immagine” per poter riflettere, valutare, comprendere il significato del “luogo della Memoria” e interiorizzarla.

Uno spirito comune univa i partecipanti, in unione fraterna: CSM Cagliari, la Comunità di Schio “Samarcanda”, noi accompagnatori CAI, i cari Alpini dell’Associazione Nazionale Alpini, insieme  con naturale consapevolezza umana e storica. Avevamo trovato tutti, in quel preciso momento, un “altrove” e un “alter ego” più grato alla vita e a ciò che in essa è contenuto. Questo, come tutti gli altri trekking, è stato totalmente finanziato dai partecipanti. Son state utilizzate strutture che evitavano sprechi e spese superflue. Oltre ai due rifugi di montagna è stato utilizzato un ostello (VERONA) ed una casa alpina della Parrocchia di Marano Vicentino (pernottamento al Pian delle Fugazze).

In località Giazzera (comune di Trabileno-TN) ha inizio il sentiero 101 che ci porta al Rifugio Lancia. Dalla Malga  Cheserle a quota 1348 slm si unisce  Giovanni, insieme a quattro assistiti della cooperativa sociale  Samarcanda di Schio. Ha inizio il nostro trekking per comoda carrareccia nel bosco, in direzione sud est, con costante pendenza. Dopo 5 km arriviamo al rifugio Alpe Pozza “V.Lancia” (m.1802), gestito dalla SAT-CAI dove pernottiamo. Lasciati gli zaini al rifugio, dopo breve pasto si sale per il sentiero 131A che porta alla Sella e poi per il sentiero 131 al Col Santo (m.2112). Dalla cima, ad anello fra i pascoli, si ridiscende al rifugio (5Km). Il giorno dopo ci raggiungono due Alpini dell’Associazione Nazionale Alpini che ci accompagneranno al Rifugio Papa. Lungo il percorso ci illustreranno le vicende belliche della Prima Guerra mondiale. Dal Rifugio Lancia prendiamo il sentiero 120 a sud est, su comoda carrareccia sino alla Sella delle Pozze (1903 m), lasciamo il sentiero 120 per prendere il 147 che aggira il Monte Buso e si ricongiunge al 120 nei pressi  della  malga Buse Bisorte. Tutto il territorio è segnato: macerie, reticolati, trincee, camminamenti, strutture della Grande Guerra, ora degli Austriaci, ora degli Italiani, spiegati con dovizia di particolari e aneddoti dagli Alpini che ci accompagnano nel percorso. I toponimi stessi rievocano memorie di guerra: Selletta del Groviglio, Selletta Comando, Dente Austriaco, Dente italiano…

Il sentiero torna in quota verso sud, sino a raggiungere con brevi saliscendi il Rifugio Generale A. Papa (10km) alle porte del Pasubio (m.1928): rifugio CAI costruito su preesistenti baraccamenti militari italiani. Il giorno dopo, prima di lasciare il Rifugio, percorriamo metà del sentiero delle 52 Gallerie, costruito dagli Italiani per evitare il bombardamento nemico sulle colonne di rifornimento alle prime linee di guerra. La prima parte del sentiero ha il nome di “Galleria Sardegna”… mi ha provocato commozione…

Dal Rifugio Papa, l’ultima tappa del nostro trekking verso il passo Pian delle Fugazze. Percorriamo la “Strada degli Eroi” per la presenza delle lapidi commemorative dei soldati medaglie d’oro caduti in guerra. Dopo svariati tornanti e 12km di carrareccia arriviamo a Pian delle Fugazze (1164m), dove pernottiamo presso la Casa alpina della  Parrocchia di Marano Vicentino. Di pomeriggio escursione di 5 km per ammirare un ponte tibetano e visitare l’Ossario militare del Pasubio.

E siamo arrivati alla fine dell’esperienza. Purtroppo, a seguito della Pandemia, le uscite di Montagnaterapia a Cagliari si sono arrestate da quasi tre anni. Per di più, in questo periodo c’è stato un cambio dirigenziale nei vertici Asl e nella direzione del CSM. Onde per cui, ancora non sappiamo perché s’inceppi l’autorizzazione a ripartire, benché la sezione CAI abbia ripreso le uscite calendarizzate con regolarità per un massimo di 20 partecipanti. Nella nostra rivista Nazionale CAI “Montagne 360”, Ornella Giordana rilascia questa dichiarazione: “Il lockdown ha lasciato un segno, soprattutto sulle persone già in difficoltà… per questo anche tra le attività del Club Alpino Italiano abbiamo spinto per far ripartire il prima possibile quelle di Montagnaterapia. Ce n’è davvero bisogno”.

Il mio stato d’animo nei confronti di questa lunga interruzione esprime una profonda perplessità. Sento nel profondo che per i nostri “guarenti” è come se la qualità della loro vita si sia nuovamente abbassata e che non vivono bene. Dove inizia e come continua e dove ancora finisce l’inclusione? Una cosa è certa: son stati lesi dei diritti! “L’obiettivo del benessere e dell’inclusione sociale di ciascuno è un campo d’interesse che riguarda tutti coloro che progettano, costruiscono, modificano e conservano il mondo antropico che ci circonda “.

(dal documento CAI Nazionale del Comitato Centrale d’Indirizzo e Controllo sulla classificazione dei percorsi montani nella difesa dei diritti verso persone con disabilità.)

Nessuno può essere trascurato e mi fa specie che questa affermazione non possa partire dalle direttive  Sanitarie. Quante volte per sminuire un argomento o la persona che lo promuove si sente dire “È tutta retorica.” È un’espressione che accetto e non accetto, che mira il più delle  volte a spezzare la “voce” di chi si prende a cuore, con coscienza, una qualsiasi problematica o argomento. E, per intenderci, Montagnaterapia non è di certo neanche un luogo comune ma… È sicuramente un ”luogo” molto speciale, abitato da tante persone che fanno rete fra di loro, proprio per affrontare barriere e impedimenti che continuamente si trovano davanti.

Il presidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap (FISH), Vincenzo Falabella, ha dichiarato pubblicamente che “ le persone con disabilità e le loro famiglie son state le più colpite”.

E socialmente, sanitariamente e politicamente c’è ancora tanto da lavorare per l’inclusione e superare, quindi, qualsiasi forma di segregazione.  Se si pensa seriamente a quanto può essere più complicata e complessa la vita di un disabile , niente e nessuno dovrebbe arrestarsi davanti a qualsiasi  impedimento od ostacolo nei confronti di qualsiasi disabile.  Ancora le parole di V. Falabella: “la disabilità non è una malattia, bensì l’interazione con l’ambiente esterno. Più è ostile l’ambiente, più è elevato il grado di disabilità”.

Parole giuste, belle, sagge, intelligenti e umane.

Montagnaterapia è ricerca di natura, di bellezza che viene dalla Montagna, che cura i suoi percorritori. Aperture. Estensioni… larghi orizzonti ed elevate cime, essenze, musicalità, fiori delicati, animali selvatici. Basterebbe una decisione, una scelta giusta per non bloccare il desiderio di chi vuol percorrere tutto questo.

Articolo inserito nel numero de L’Italia, l’Uomo, l’Ambiente n° 10, Anno VIII, Novembre 2021

                                                                                                        

Share Button
Please follow and like us:

CC BY-NC-ND 4.0 Curarsi con la montagna: La montagnaterapia by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.