Articolo pubblicato su IUA n° 7, Anno VI, Luglio-Agosto 2019
È morto nei giorni scorsi, ad Orvieto, il nostro amico e collaboratore Giovanni Feo.
Non voleva essere chiamato “archeologo” né “etruscologo”, ma soltanto “studioso delle antiche civiltà mediterranee”; in realtà, nei fatti, col suo lavoro pluridecennale ha rivoluzionato la comprensione della civiltà etrusca, spingendosi nel tempo ancora più addietro, alle antiche popolazioni italiche che abitavano il centro della nostra penisola molto prima dei Rasenna.
Decine di volumi rimangono a testimoniare il suo impegno di ricercatore “non accademico”, anzi, spesso ostacolato da quegli ambienti universitari italiani ancorati a supposizioni e idee che risalgono a mezzo secolo fa. Non vi è da stupirsi, quindi, che gli studi di Feo siano più apprezzati all’estero che nel nostro Paese.
Io, però, oltre allo studioso, debbo ricordare l’amico impareggiabile, che mi ha guidato alla scoperta di luoghi archeologici di eccezionale valore in Maremma e in Tuscia, siti che lui stesso, munito solo della sua immensa cultura e del suo eccezionale intuito, aveva localizzato.
Giovanni, invero, non amava solo le discipline storiche, ma anche la natura, e pensava, come me, che i popoli antichi come gli Etruschi cercassero di vivere in armonia con l’ambiente: le loro convinzioni religiose e i loro rituali sicuramente lo attestano.
Non ci frequentavamo spesso, negli ultimi anni davvero poco, ma ci sentivamo ogni tanto per telefono: una impresa difficile, con lui che, almeno fino a poco tempo fa, non utilizzava il cellulare.
Non so dove sia, ora: non certo in un asettico Paradiso al quale non credeva, pur essendo un uomo che guardava oltre, che sapeva, per parafrasare Eugenio Montale, che la realtà non è solo quella che si vede.
Buon riposo, Giovanni, tu che hai camminato con le tue gambe percorrendo ogni sentiero e forra dell’Etruria, e con la tua mente itinerari per noi inconcepibili nel tempo e nello spazio, in cerca solo della Verità.
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