Articolo pubblicato su IUA nà 6, Anno VI, Giugno 2019
Dopo otto secoli attraversa ancora, agile ed elegante sulle sue sette arcate a sesto ribassato, l’Arno, in uno dei suoi punti più larghi: è il Ponte a Buriano, nei pressi di Arezzo. Leonardo lo vide, forse, in occasione del suo servizio in qualità d’ingegnere militare presso Cesare Borgia, il Duca Valentino, ampiamente figlio di Papa e di papà, esempio illuminante di Principe per Niccolò Machiavelli, di crudele tiranno senza princìpi per noi moderni.
Comunque sia, il genio di Vinci apprezzò la struttura e la bellezza del manufatto, tanto che lo volle ritrarre sullo sfondo di quel quadro che si portò appresso, ritoccandolo, fino alla sua morte, quando ne fece dono a Francesco I di Francia, suo benefattore e protettore. La questione, se questo sia appunto veridicamente quel ponte, pur se ancora dibattuta, pare a me bastevolmente appurata, e quindi non vi ci soffermerò ulteriormente, se non per affermare che un ponte il quale, dopo otto secoli di onorato servizio, regge ancora il traffico veicolare, non solo è stato costruito solidamente, ma eccezionalmente bene.
Il quadro cui ho accennato è, ovviamente, l’opera pittorica più famosa del pianeta Terra, quella Monna Lisa del Giocondo che tante menti e ingegni ha ispirato nei secoli, e probabilmente ancora ne ispirerà.
Basterebbe ciò a rendere, di riflesso, illustre il ponte e il luogo che lo ospita, la valle dell’Arno che in questo punto è davvero incantevole; da qui, verso valle, ha inizio un tratto sinuoso e, a tratti, incassato profondamente, che par davvero prenda esempio dai canyon americani. E’ da molti anni zona protetta, la Riserva Naturale di Bandella e della Valle dell’Inferno, che, grazie alla presenza di due dighe, La Penna e Levane, presenta anche zone palustri, davvero interessanti per l’avifauna acquatica.
Verso nord, invece, non esiste altro ponte prima di Castelluccio, piccolo borgo sito nel Comune di Capolona. In questo breve tratto, la riva destra del fiume è davvero poco antropizzata: la località di Cincelli, a poche centinaia di metri dal Ponte a Buriano, nell’antichità ospitava una fornace (gli aretini, prima etruschi poi romani, erano davvero notissimi per la produzione di ceramica “sigillata”, ovvero recante il sigillo – oggi diremmo logo – dell’azienda vasaia che la realizzava).
Da Cincelli, verso nord, hanno inizio le pendici del massiccio del Pratomagno, che separa la Valle dell’Arno dal Casentino. Una stretta strada asfaltata porta da Ponte a Buriano a Castelluccio, un’altra raggiunge il minuscolo borgo rurale di Pieve San Giovanni, ridiscendendo poi per congiungersi alla prima, proprio a Castelluccio. In questo non molto vasto triangolo, che ha per base il corso dell’Arno, i seminativi e gli ex seminativi si alternano a boschetti mesofili di querce – in prevalenza roverella – carpino, ontàno. Tutta la zona è ricca di fauna: ungulati (cinghiali, caprioli, daini), mustelidi (volpe, faina, donnola), lepri, istrici e via dicendo, nonché di rapaci. Il Lupo è presente nei boschi del Pratomagno, e probabilmente, in inverno, frequenta anche queste piagge.
Il luogo è conosciuto, appunto, come Valle delle Piagge, e avrebbe tutte le potenzialità per conoscere uno sviluppo di turismo “alternativo” di tutto rispetto, avendo tra l’altro già alcune strutture (anche di vaste dimensioni) che lo ospitano, sia in Comune di Capolona che nel confinante Comune di Castiglion Fibocchi.
Il problema è che la Valle delle Piagge sta avendo invece, in queste settimane, una certa notorietà sui media locali, non per i suoi pregi naturalistico-ambientali, ma per i rischi che sta correndo: l’amministrazione del Comune di Capolona ha infatti dato parere favorevole, qualche tempo fa, alla concessione a un’azienda aretina di sfruttare proprio questo territorio per realizzare quattro cave, di cui una per la produzione di pietre e le altre tre per sabbie e pietrisco, per un’area molto vasta (cinque ettari più due di fascia esterna solo per un primo intervento) e una profondità naturalmente indefinita. Chi ancora, in questa epoca di ricorso alle calcolatrici del proprio smartphone, sa fare due conti a memoria, è subito trasalito: si tratta infatti di 50.0000 mq di terreno, moltiplicati per i metri di profondità (che non sono mai pochi, quando si tratta di prelevare materiale…).
Quindi, le cifre sono impressionanti: calcolate parecchie centinaia di migliaia di metri cubi; tanto per avere un’idea del peso, un metro cubo di inerti di sabbia e pietrisco pesa ben oltre una tonnellata. Inoltre, i due ettari di fascia di “rispetto” saranno percorsi da macchinari pesanti e perderanno ogni connotazione naturale.
In pratica, la Valle delle Piagge sarà devastata, e le ricadute in termini di inquinamento atmosferico (scarichi dei motori, polveri) e acustico andranno ben oltre i suoi confini.
La riflessione che suscita più curiosità è però la seguente: quanto guadagnerà il Comune che ha dato parere favorevole allo sfruttamento? Tanto da sovvenire alle necessità delle fasce meno abbienti della popolazione, o per altri scopi sociali? Il Sindaco lo ha rivelato: 300.000 euro, il costo di un paio di piccoli appartamenti ad Arezzo. Il biblico “piatto di lenticchie” in cambio della primogenitura…
Ha aggiunto, anche, che i soldi saranno spesi per le frazioni del Comune interessate dai lavori: ovverosia, prima ti rovino, poi ti do un contentino!
Infine, ha affermato che la decisione è stata presa in mancanza di qualunque vincolo archeologico o paesaggistico e che, dopo l’uso, e come prescritto dalle leggi, il territorio interessato sarà “ripristinato” a cura della Ditta che ha svolto i lavori. Non ha specificato che è impossibile tornare alla situazione precedente, o anche solo pensarlo, considerando l’enorme sbancamento in una zona in lieve ma costante pendenza e la cui bellezza consta anche dei dossi e poggetti che la animano.
Chi conosce la realtà di una cava sa perfettamente che, se va bene, il terreno, la cui geomorfologia sarà profondamente modificata, verrà spianato, e ci vorrà del bello e del buono per riportarvi una parvenza di vegetazione. Questo, senza considerare che anche il regime idrografico risulterà profondamente alterato.
Se, invece, va male, ossia, come capita spesso, la Ditta non vuole o non è in grado di ottemperare agli impegni presi, pur avendo versato una fidejussione, le grandi cavità resteranno quali sono, oppure, chissà, è già successo molte volte, saranno utilizzate come discariche. Autorizzate, beninteso, tanto chi si ricorderà com’era questa vallata tra una decina o una ventina di anni? Quanto saranno cambiati, nel frattempo, i regolamenti oggi vigenti?
Ma non è ancora finita. Nella sua visione delle cose, l’Amministrazione comunale di Capolona ha creduto bene di risparmiare, almeno nelle intenzioni, il passaggio dei camion da cava, sei giorni su sette e per un tempo indefinito, ma certo lungo, agli abitanti del proprio capoluogo, riversando sia il traffico pesante che i relativi disagi da inquinamento atmosferico e acustico su quelli del Comune confinante. Il quale, ovviamente, ha gridato il suo NO, come anche il Comune di Arezzo e la Provincia omonima.
Intanto, gli abitanti della zona interessata dal progetto della cava hanno costituito un apposito Comitato, per opporsi, con ogni mezzo, allo scempio che si prospetta; non è neppure mancato loro l’apporto di uno dei Vice-presidenti della Regione Toscana, la quale peraltro, forse per non aver valutato bene le dimensioni e la qualità dell’impatto ambientale, ha inserito il progetto nel proprio Piano Cave.
Non sappiamo quindi, ad oggi, quale esito avrà la vicenda. Possiamo però introdurre una riflessione più generale: in un momento di crisi, nel quale i Comuni devono affrontare con poche risorse, divenute minime dopo la Legge di Stabilità, varata dal Governo nel 2013 – le necessità amministrative ordinarie e straordinarie, è logico (ma non giustificabile) che alcuni tendano a sfruttare il più possibile ciò che offre il loro territorio, senza starsi a porre troppe domande sulla sostenibilità ambientale, o meno, delle loro operazioni. È il caso, appunto, delle attività estrattive.
In un suo dettagliato rapporto sulla situazione delle escavazioni di materiali inerti in Italia, datato 2017, Legambiente sottolineava come la Toscana sia una delle regioni italiane che si è dotata di un suo Piano-Cave, a differenza – orrore! – di altre regioni dove, a quanto pare, non esiste alcuna regola precisa. Aggiungeva, però, che questa regione è già abbastanza deturpata dalla presenza di attività estrattive di questo genere: sarebbe bastevole portare l’esempio delle Alpi Apuane, la bellissima catena montuosa prospiciente il mare che è ormai stata ampiamente depredata del suo marmo prezioso.
Anche in quel caso, come, se avverrà, in quello della Valle delle Piagge, non si sarà derubato una zona solo della sua terra e delle sue pietre (beni di cui non si “produce” più neppure un grammo!), ma anche della sua Bellezza.
Una Bellezza che, nel nostro caso, certo lo sguardo di Leonardo da Vinci apprezzò, e che non sarà più disponibile né ricreabile. Per nessuno.
Fotografie di Gianni Marucelli © 2019
IL PONTE DELLA GIOCONDA E I LADRI DELLA BELLEZZA by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.