Articolo pubblicato su IUA n° 2, Anno VI, Febbraio 2019

Ci riferiamo al Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, una vasta area comprendente le isole e il mare immediatamente circostante, di cui abbiamo già avuto modo di parlare non molto tempo fa per il massacro, eufemisticamente chiamato “eradicazione”, ma forse sarebbe più efficace “soluzione finale”, che riguarda la popolazione di mufloni, immessa dai cacciatori circa mezzo secolo fa e ora accusata di crimini contro l’ambiente: cibarsi di pianticelle giovani, prevalentemente di leccio, impedendo il rinnovarsi della macchia. I numeri, li ricordiamo, sono davvero eloquenti, più di 400 capi l’anno senza distinzione di sesso né di età (si uccidono anche, anzi preferibilmente, le femmine e i cuccioli); nonostante il gran daffare dei cacciatori di selezione (i comuni amanti dell’arte venatoria sono esclusi a priori), però, i mufloni mostrano una eccezionale virtù di resilienza, frustrando le aspettative del Consiglio Direttivo, imperiosamente guidato dal Presidente Sammuri.

Di ciò, ho detto, abbiamo già parlato: restano però da chiarire quanto grande sia la somma che il Parco destina annualmente a questa bisogna (o vogliamo definirla per quel che è, ovverosia strage entro un  territorio protetto).

Ma non è finita; il buon Sammuri, esperto in gestione di ungulati (anche i cinghiali se la passano infatti assai male) si è cimentato diversi mesi fa in un repulisti di volatili nella piccola isola di Pianosa. Secondo le informazioni da noi avute, questo modesto territorio, che lo stesso Parco pubblicizza come “L’Isola del Silenzio”, si è trasformato per diversi giorni in un Afganistan nostrano: l’ordine era chiaro, andate e fateli fuori tutti, fagiani e pernici rosse, che pacificamente vivevano qui da più di un secolo.

Immaginatevi dunque (chi c’è stato lo potrà fare facilmente) decine di doppiette in costante azione, supportate dai cani da caccia. Terrore, sangue, pallini e cartucce sparsi per i prati, uccelli marini, come i gabbiani, anch’essi spaventati che urlano la loro paura dileguandosi sul mare…

Che spettacolo, signori, degno dei versi danteschi!

Un’azione di impavido coraggio portata avanti da Sammuri e dai suoi killer nonostante il parere contrario delle stesse Associazioni venatorie!

Così si esprime una di esse:

“Sull’isola di Pianosa, è in atto un progetto di reintroduzione della pernice rossa di ceppo italico. Opera sicuramente meritoria che fa parte di un più ampio progetto life, che punta a eliminare dall’isola tutti gli alieni, sia animali che vegetali. Prima di immettere i capi del progetto, devono essere rimossi i numerosi fagiani e pernici (che dovrebbero essere ibride) presenti sull’isola. Nello scorso anno un po’ di fagiani sono stati catturati con la collaborazione dei cacciatori, ma adesso si è deciso di abbattere le centinaia di capi di qualità superiore che ancora sono presenti sull’isola e avrebbero potuto ripopolare zrc e zrv. Forse è il caso di pensarci meglio, e chiedere ancora l’intervento dei volontari del mondo venatorio. Siamo sicuri che, come sempre, lavorerebbero gratis molto volentieri”.

Questa espressione, “lavorerebbero gratis”, ci induce a pensare che i cacciatori di selezione siano stati pagati per quella pratica venatoria che essi giudicano un divertimento; del resto, non si spiegherebbe altrimenti perché, nei bilanci annuali del Parco stesso, siano state accantonate ingenti somme per questo scopo. Per essere più chiari, pagare, e bene, i cacciatori di selezione, quanto bene non lo sappiamo ancora, ma lo scopriremo presto!

Insomma, la “filosofia” del Presidente Sammuri si basa sul seguente presupposto: sterminare tutto quanto è stato introdotto nelle isole, diciamo negli ultimi secoli, comprese le piante, che è definito “alieno”, e cercare di reintrodurre specie che, presumibilmente, erano autoctone. Nel perseguire questo tentativo è però avvenuto un episodio che dimostra quanto possa essere fallace la presupponenza umana. Nell’Operazione Pianosa si dovevano anche catturare le lepri, giudicate ibride, importate in tempi recenti; gli scienziati dell’ISPRA hanno poi scoperto che questi abitanti di Pianosa appartenevano alla specie “Lepre europea dell’Isola di Pianosa che è geneticamente incontaminata e riconducibile alla Lepus europaeus meridiei Hilzheimer, 1906, la sottospecie tradizionalmente descritta per l’Italia, che si era creduta estinta a causa dei noti ripopolamenti effettuati con altre sottospecie importate”. Così decreta una rivista venatoria.

E ora che accadrà? La lepri giudicate “geneticamente impure” e adesso risultate di “italianissima stirpe” verranno ricondotte, con tante scuse, nella loro isoletta?

Ci piace citare, a proposito di tutto questo orrendo guazzabuglio, una dichiarazione di Michele Rampini, esponente locale del PD:

“In relazione al provvedimento del Direttivo del Parco – si legge in una nota – che prevede l’eradicazione del Fagiano e della Pernice dall’Isola di Pianosa, mi domando se questa sia la decisione più giusta e appropriata. Si afferma che questi volatili, poiché introdotti dall’uomo nel 1800, non rappresentino una popolazione faunistica autoctona e quindi vadano eliminati dall’ambiente in cui in realtà sono nati da generazioni. Non si spiega né si afferma che siano pericolosi per altre specie né tanto meno per l’uomo. Allora mi domando perché tale furia contro degli animali che se inseriti in altri ambienti potrebbero non essere capaci né di sfamarsi o peggio facile preda dei cacciatori perché del tutto spaesati. Detto questo ovviamente non sono contro una caccia regolamentata, ma contro un facile sterminio. Essere cacciatori vuol dire anche competere con chi è cacciato. La pervicacia nel perseguire la teoria per cui in un territorio deve essere salvaguardata ad ogni costo e senza ragionevolezza la purezza di una fauna autoctona, mi sembra – conclude Michele Rampini – che rasenti una specie di razzismo faunistico”.

In effetti, tutte le decisioni prese da Sammuri hanno il timbro intellettuale dell’estremismo ecologista, ma la sensazione che più disturba è quella del retro-pensiero razzista.

Volendo però scendere sullo stesso piano di ragionamento dei membri del Direttivo del Parco, lancio una proposta, provocatoria sì, che però dovrebbe rientrare nei loro parametri: prima della fine dell’ultima Era Glaciale, quando le isole erano unite alla terraferma per l’abbassarsi della superficie marina, all’Elba doveva certamente essere presente, insieme a tanti altri animali, anche il Lupo. Vogliamo che sia la natura stessa a risolvere il problema degli ungulati, adottando gli stessi criteri di Sammuri e C.? Bene, reintroduciamo il Lupo!

Oppure cessiamo di scherzare e portiamo progetti di eradicazione e relativi costi sulla scrivania del Ministro Costa, che poi è quello che paga i conti?

Fonte delle immagini:

Pernice rossa di Pianosa: www.greenreport.it

Muflone: www.italiaambiente.it

Parco arcipelago toscano: www.isprambiente.gov.it

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CC BY-NC-ND 4.0 QUELLO STRANO PARCO NAZIONALE CHE MASSACRA LA PROPRIA FAUNA by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.