Articolo pubblicato su IUA n° 5, Anno V, Maggio 2018
Chi ce le ha portate via?
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Così cantava Giacomo Leopardi, ne “Le ricordanze”, quasi due secoli fa, ricordando il “paterno ostello” di Recanati e il cielo luminoso sulla sua testa, nelle notti di tarda primavera.
Adesso, al poeta sarebbe negata anche la consolazione di ammirare le costellazioni notturne, in quasi tutte le medie e grandi città italiane e nei loro pressi.
Se osservassi infatti le immagini della nostra penisola, prese dal satellite nelle ore in cui essa è immersa nell’oscurità, bisognerebbe che mi rimangiassi subito questa locuzione.
Infatti, più che a un lembo del pianeta, assomiglia a una vetrina natalizia, tanto i centri urbani e le grandi conurbazioni (Milano, Roma, Napoli e via dicendo) risplendono occultando ogni altro particolare.
D’altra parte, dal suolo non è più possibile assistere all’accendersi delle stelle nelle notti serene: è già tanto vederne qualcuna dalle campagne delle estreme periferie, se non si è troppo occupati a evitare aggressioni, cumuli di rifiuti o semplici ma micidiali buche nel manto stradale.
Per questo motivo, gli storici Osservatori astronomici ubicati nelle città hanno dovuto chiudere i battenti o riciclarsi in altre attività che non comportino l’uso dei telescopi.
Se proprio uno vuol godersi le costellazioni, deve cercare luoghi abbastanza remoti, preferibilmente in zone montuose ove non giunga se non il riflesso delle illuminazioni urbane.
L’inquinamento luminoso, così si chiama, non ha solo ricadute, per così dire, “estetiche”.
Pensiamo al costo economico relativo alle illuminazioni notturne totalmente inutili, come quelle delle facciate degli edifici privati, dei campi e degli impianti sportivi inutilizzati ai lati delle strade, e così via. Il nostro paese spende, per illuminazione notturna, un totale di un miliardo di euro l’anno, con una spesa pro capite doppia rispetto alle altre nazioni europee.
Passiamo poi ai “danni collaterali”, che non sono affatto secondari: “difficoltà o perdita dell’orientamento per diverse specie animali, dagli uccelli migratori ai pipistrelli, alle tartarughe marine, alle falene; alterazione del fotoperiodo in alcune piante; alterazione di ritmi circadiani nella vegetazione, negli animali e nell’uomo.”
L’aumento dei disturbi relativi all’insonnia è sicuramente dovuto anche a questo fenomeno, così come la perdita di concentrazione per chi viaggia di notte sulle strade.
L’argomento della lotta all’inquinamento luminoso è sul tappeto delle questioni ambientali per le quali troppo poco si agisce; giunge però la notizia che, finalmente, sulla spinta delle richieste delle associazioni ambientaliste, il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato, in data 9 febbraio 2018, una legge che cambia, in senso restrittivo, una precedente normativa in materia che risale all’anno 2000. In sintesi, la nuova legge prevede che non si può disperdere la luce nell’ambiente e indica gli strumenti per ridurre l’inquinamento luminoso. In particolare, provveder alla protezione delle zone sensibili (Parchi, Osservatori e simili).
Una norma, quindi, sacrosanta, che riduce gli sprechi di elettricità e, di conseguenza, anche l’inquinamento atmosferico.
Non vi è che da augurarsi che ogni Regione prenda al più presto provvedimenti di questo tipo, rinnovando e adeguando tecnicamente, in particolare, i sistemi di illuminazione pubblica.
Fonte: Obiettivo ambiente – Notiziario di Pro Natura Piemonte – Aprile 2018
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