Articolo pubblicato su IUA n° 1, Anno V, Gennaio 2018
La Sardegna è una terra che, come disse David Herbert Lawrence, non assomiglia ad alcun altro luogo. In effetti è proprio così. Come dar torto allo scrittore e viaggiatore inglese che vi soggiornò per un breve periodo.
Personalmente posso aggiungere che ogni luogo della Sardegna non assomiglia ad altro luogo dell’isola stessa. Ogni zona, anche a poca distanza da un’altra, ha la sua propria caratteristica e un magico fascino che sa incantare le persone sensibili amanti della natura e del bello. Non a caso anni fa ho scritto e pubblicato un piccolo libriccino intitolato L’Isola di mia madre di cui, adesso, esiste solo l’edizione ebook (Editore: Youcanprint). L’ho scritto con l’intento di rendere più magica la seconda terra delle mie origini dopo averla girata in lungo e in largo, dopo aver percorso chilometri e chilometri di strade costiere e di montagna. Dopo aver incontrato persone, monumenti antichi, montagne aspre, animali di… roccia e veri! Questo articolo – estratto da un capitolo della nuova edizione de L’Isola di mia Madre che vedrà luce forse a metà del 2018 – è dedicato a questi ultimi. Due animali di cui solo uno è vero!
Ma vediamo di chi si tratta. Un asinello sardo, silenzioso e solitario, la cui schiena è coperta da un basto decorato a festa. Non molto distante da lui c’è una roccia… un grosso masso che è considerato una celebrità: Sa Pedra Pertunta (la pietra traforata). Ovvero la Roccia dell’Elefante.
“Chi da Castelsardo percorre la via Nazionale che conduce a Sedini, d’un tratto si trova di fronte ad uno strano spettacolo. Un gigantesco elefante, tre volte più alto degli enormi mammuth preistorici, par che esca dalla giungla e s’incammini verso la montagna.”
Questo scrisse lo studioso lombardo Edoardo Benetti che si trasferì nell’Anglona sul finire dell’ottocento (l’Anglona è la sub-regione a nord della Sardegna che confina con le sub-regioni del Sassarese, del Montacuto, della Romangia e della Gallura. Il centro più importante dell’Anglona è Castelsardo). Benetti, alla vigilia dell’entrata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, fu il primo – in un suo scritto del 1914 – a battezzare questa particolare roccia con il nome con la quale è conosciuta adesso: la Roccia dell’Elefante.
Il pachiderma di pietra si trova tra due località nel territorio comunale di Castelsardo (Multeddu e Pedra Sciolta) sulla strada statale SS134 per Sedini.
La roccia è composta da trachite e andesite. La sua colorazione è rosso ruggine. In origine la roccia faceva parte del Monte Castellazzu da cui si staccò in epoca remotissima rotolando fino a valle. Gli agenti atmosferici (acqua e vento) le hanno dato l’aspetto di un elefante seduto.
Sin dall’antichità la roccia ha incuriosito l’uomo che già nel neolitico l’ha trasformata in un luogo di culto e di sepoltura. Proprio per questo motivo la Roccia dell’Elefante è importante, oltre da un punto di vista paesaggistico, anche come sito archeologico per le due domus de janas (che risalgono al periodo pre-nuragico) che si trovano all’interno della roccia.
Il luogo è diventato, in tempi moderni, luogo turistico obbligatorio per chi soggiorna nelle località balneari dell’Anglona e delle sub-regioni limitrofe. È così tanto famoso che le bancarelle degli esercenti della zona occupano buona parte di una lunga piazzola di sosta di fronte all’elefante.
Tutti, dopo le fotografie di rito alla roccia proboscidata, affollano i gazebo dei commercianti.
Ma non c’è coda di turisti davanti ad un asinello sardo… non interessa alla gente. Eppure è anche vestito a festa. Tuttavia qualcuno si avvicina ad accarezzargli il muso. Forza gente, avvicinatevi anche voi. Non morde. E se lo facesse vuol dire che è vivo… è un essere vivente. Ma non c’è competizione con l’elefante. Non si compete con…
L’importanza di una roccia*
(dalla silloge L’Isola di mia Madre)
L’elefante di roccia non è mai solo
ché la curiosità umana lo rende vivo e fiero.
Sorride per un ritratto da incollare
nei ricordi d’un bambino .
Poco più in là un asino solitario
raglia la sua umiltà.
I suoi occhi par che dicano…
vorrei una carezza per lenire il dolore
alla mia schiena livida di nerbate
ché dentro me batte un cuore vero.
* Dalla silloge di Alberto Pestelli “L’Isola di mia madre” prima edizione cartacea © Copyright 2008 Alberto Pestelli pubblicata per Ilmiolibro (fuori catalogo) – Seconda edizione formato Ebook (EPUB) © 2015 pubblicato da www.youcanprint.it; ISBN: 9788891174468.
Fotografie di Alberto Pestelli © 2005
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