Articolo pubblicato su IUA n ° 10, Anno IV, Novembre 2017
In questi giorni che l’Italia assiste al braccio di ferro fra Regione Lazio e Acea sull’acqua, che nei prossimi giorni sarà razionata per 1,5 milioni di romani dopo l’ordine della Regione Lazio di sospendere il prelievo dal lago di Bracciano, riserva idrica della Capitale dal 28 luglio fino al 31 dicembre 2017. A motivare la scelta dell’amministrazione regionale sono “innanzitutto” le “condizioni di deperimento del lago”.
Già il 24 giugno La Stampa denunciava il grave abbassamento delle acque di quello che un tempo si chiamava Lacus Sabatinus ed è ancora l’ottavo più esteso della penisola. Il Sindaco di Bracciano spiegava che l’Acea “risucchia tra 1.100 e 5 mila litri al secondo, perché deve rifornire 60 Comuni a nord di Roma. Se Acea non smette, non basterà un anno di piogge. Un disastro annunciato e, complice la siccità, il livello dell’acqua del lago è calato a dismisura”.
Il direttore del Parco di Bracciano, Daniele Badaloni, precisava a giugno che “La profondità è scesa di 1 metro e 46 centimetri, un centimetro al giorno, e siamo solo a inizio estate. A fine stagione supereremo i due metri, un’enormità se si considera che la profondità del lago è di 160 metri. Questo nel punto maggiore perché si tratta di una formazione vulcanica a cono”.
L’ANSA del 23 Luglio 2017 scrive che il Lazio è stato dichiarato in “severità idrica alta” per la siccità: nel 2017 le precipitazioni si sono ridotte tra l’80% e l’85% e i laghi entrano in crisi anche a causa delle eccessive captazioni (prelievi di acqua). È, questa, la sintesi del dossier”Captazioni e abbassamento dei laghi nel Lazio” presentato da Legambiente regionale. Si temono ora ripercussioni gravi su tutto l’ecosistema.
“Purtroppo è una tragedia. Il livello del lago si è abbassato con il rischio di catastrofe ambientale inimmaginabile fino a questo momento”, ha detto il governatore del Lazio Nicola Zingaretti ai microfoni di Tgcom24.
Le condizioni del Lago di Bracciano sono gravi, ma sono solo un sintomo di una situazione generale persino più preoccupante.
Secondo Il Fatto Quotidiano, è altissimo il conto da pagare per il caldo incessante e le temperature oltre la media delle ultime settimane: due terzi dell’Italia e dei campi coltivati lungo la Penisola sono a secco a causa della siccità delle ultime settimane e ammontano a oltre 2 miliardi di euro, secondo un’analisi Coldiretti, i danni provocati a coltivazioni e allevamenti. Almeno dieci Regioni, secondo quanto comunica l’Ansa, stanno per presentare la richiesta di stato di calamità naturale al ministero delle Politiche agricole.
I dati forniti da Coldiretti sono allarmanti: il Lago di Garda è appena al 34,4% di riempimento del volume, mentre il fiume Po al Ponte della Becca a Pavia è a circa 3,5 metri sotto lo zero idrometrico. Per “livello idrometrico” in un determinato luogo del fiume s’intende il dislivello tra la superficie dell’acqua di un fiume ed un punto di riferimento altimetrico, che può essere il livello medio del mare (l.m.m) oppure lo “zero” dell’idrometro stesso (detto “zero idrometrico”). Lo zero dell’idrometro è la quota altimetrica (sul livello medio del mare) che si è convenuta per quell’idrometro. L’idrometro è un valido aiuto per la salvaguardia del territorio contro i pericoli conseguenti alle piene dei fiumi,
Per gli agricoltori è sempre più difficile ricorrere all’irrigazione di soccorso per salvare le produzioni. Le perdite provocate dalla siccità nella sola Lombardia ammontano a circa 90 milioni di euro. Anche la produzione di latte che è crollata di circa il 15%, a causa del caldo. L’allarme fieno riguarda anche gli alpeggi in montagna, dove secondo un monitoraggio della Coldiretti in Lombardia, nei pascoli si registra in media un calo del 20% di erba a disposizione del bestiame: le perdite provocate dalla siccità ammontano a circa 90 milioni di euro, i due terzi dei quali legate alle coltivazioni di mais e frumento.
“In Italia ogni giorno c’è una dispersione dell’acqua di quasi 9 miliardi di litri al giorno a causa delle perdite registrate lungo la rete di 474 mila chilometri di acquedotti, è questo il dato drammatico che fa a pugni con l’emergenza siccità di queste ore” afferma Angelo Bonelli esponente dei Verdi. “Ogni 100 litri di acqua immessa negli acquedotti – prosegue – quasi 40 vengono persi per l’obsolescenza della rete idrica, una delle medie più alte d’Europa che fa il paio con il fatto che gli investimenti realizzati per rimodernare gli acquedotti sono tra i più bassi del continente: 32 l’anno per abitante a fronte della Francia che ne investe 88, il Regno unito 102 e la Danimarca 129 (dati Utilitalia).
Secondo l’ANSA del 20 giugno 2017, nel mondo ci sarebbero 21,5 milioni di rifugiati ‘ambientali’ per siccità e alluvioni. Nel 2015, erano quasi il doppio rispetto alle persone costrette a fuggire da guerre e violenza. È quanto denuncia Greenpeace Germania nel rapporto “Climate Change, Migration and Displacement”.
Secondo Radio Vaticana, sono oltre 30 milioni le persone che soffrono la fame a causa della siccità in Sud Sudan, Corno d’Africa e nel bacino del lago Ciad. Secondo un recente rapporto della Commissione europea, l’esposizione globale ai rischi delle catastrofi naturali è addirittura raddoppiato negli ultimi quaranta anni. In Etiopia sono oltre sette milioni, le persone che a causa della siccità soffrono gravemente la fame e in Somalia nel 2011 la carestia ha causato 260.000 morti, molti dei quali bambini.
Già nel 2015 Rinnovabili.it scriveva che California, Brasile, Cina, Australia, India e Spagna sono i 7 Paesi in cui stiamo assistendo ai più gravi episodi di siccità sulla faccia della Terra.
Secondo La Stampa del 24/06/2017 nel Sahel a causa della siccità si prepara la più grande migrazione della storia.
Sono i paesi ricchi a produrre gran parte dei gas serra, è l’Africa – soprattutto quella sub-sahariana, e il poverissimo Sahel – a subirne le conseguenze più gravi. Il continente ha una responsabilità minima (tra il 2 e il 4% delle emissioni annuali di gas serra); ma la sua temperatura, secondo quanto emerge da alcune ricerche delle Nazioni Unite, aumenterà una volta e mezzo più rapidamente della media globale, provocando condizioni meteorologiche sempre più estreme, con effetti potenzialmente devastanti. Prolungate siccità rischiano di esporre a una penuria d’acqua fino a 250 milioni di africani entro il 2020. E nel 2040, secondo la Banca Mondiale, potrebbe deteriorarsi e divenire inservibile tra il 40 e l’80% della superficie dell’Africa sub-sahariana destinata alla coltivazione di cereali come grano e mais.
Questa sembra ormai una delle estati più calde degli ultimi anni. Potrà dipendere dal riscaldamento globale o sarà solo un caso di fluttuazione climatica, ma il caldo si sta portando dietro due problemi: gli incendi e la siccità.
Nell’Emisfero Settentrionale del Terzultimo Pianeta che si incontra procedendo verso il sole, la nostra microscopica Terra, se si prende come riferimento il periodo che va dal 1880 a oggi, l’estate del 2003 sembra sia stata fra le più calde di sempre, soprattutto in Europa. Nel 2003 il mese di agosto si rivelò il più caldo, con temperature medie anche di 4-5 gradi superiori alla norma.
Secondo Focus,, che cita uno studio apparso su Environmental Reaserach Letters Journal, da trent’anni nel nostro continente si registrano le estati più calde dai tempi dell’Impero Romano. Dal 1986, rileva lo studio, le temperature medie estive oggi sarebbero superiori di 1,3 °C rispetto a quelle che si avevano due millenni fa, quando si è verificata una sequenza di estati molto calde.
Inoltre, in questo trentennio, i giorni in cui le temperature sono notevolmente superiori alle medie del periodo, sono state più lunghe e più frequenti di quelle che si avevano ai tempi dei Romani.
Lo studio è il risultato del lavoro di 40 ricercatori sugli anelli delle piante, su dipinti, annotazioni e documenti storici redatti da medici, sacerdoti, monaci. «La temperatura estiva che stiamo misurando in queste ultime decadi non ha precedenti negli ultimi due millenni, ed essendo particolarmente elevata non può essere spigata da fenomeni naturali, come le variazioni del ciclo solare o altro, ma solo dal contributo dell’uomo», ha spiegato Jurg Leterbacher, coordinatore del lavoro. Nel periodo romano e fino al terzo secolo le estati furono più calde rispetto ai secoli successivi, fino al settimo secolo. Ci fu poi un intermezzo più caldo durante il medioevo, ma il freddo ritornò a causare una piccola era glaciale dal 14° al 19° secolo. Con il 20° secolo la temperatura è ricominciata a crescere e i cambiamenti climatici sono diventati progressivamente più pronunciati.
La variazione delle temperature dipende solo dall’uomo e dai processi di industrializzazione? C’è chi sostiene che un importante contributo sia dovuto all’attività solare. Il legame esistente fra macchie solari e temperatura, non sempre trova concordanza tra i vari ricercatori. Si può dire anzi che la maggioranza di questi mostrano un evidente scetticismo.
Come riporta Focus l’8/6/2016, il Sole ha un ciclo abbastanza regolare di circa 11 anni. A un estremo del ciclo il numero di macchie solari è rilevante, all’altro estremo le macchie si riducono fin quasi a scomparire. Le macchie solari sono aree della superficie del Sole più fredde delle circostanti, perciò appaiono più scure: si formano a causa di anomalie magnetiche.
Quello che si rileva negli ultimi mesi è che il Minimo Solare dell’ultimo ciclo, il numero 24 da quando vengono registrati, è ormai prossimo. L’attuale ciclo 24, che ha raggiunto il suo picco nel 2014, è stato il più lungo (14,1 anni) con il numero di macchie solari più basse del 33% rispetto al Ciclo 23 che a sua volta è stato più basso del 25% rispetto al ciclo 22. Attualmente l’attività solare risulta piuttosto bassa, con appena 12 macchie solari e non molto attive; consideriamo inoltre che siamo nella fase calante del Ciclo Solare 24, ovvero andiamo verso un periodo in cui il Sole sarà mediamente più debole. Non significa che nei prossimi mesi non ci saranno più macchie, ma che andranno via via scemando in numero e dimensioni fino al 2019-20 quando, presumibilmente, si toccherà il minimo. Un Sole senza macchie non lascia indifferente il nostro pianeta, scrive Focus. Ci sarà, per esempio, una riduzione delle emissioni di radiazioni ultraviolette: questo provocherà un raffreddamento dell’atmosfera superiore della Terra, che tenderà a collassare tirandosi dietro la spazzatura spaziale più prossima, che avvicinandosi al pianeta potrebbe infine precipitare, in parte bruciando nell’atmosfera e in parte arrivando fino al suolo. Una minore intensità del Sole lascerà anche più spazio ai raggi cosmici, fenomeno in realtà già in corso tant’è che, rispetto a pochi anni fa, si è registrato un aumento del 10% di radiazioni cosmiche in prossimità della Terra, con una serie di conseguenze anche sul clima, perché i raggi cosmici influenzano la produzione di nuvole. Il ciclo che sta per terminare è stato meno intenso rispetto ai precedenti e, secondo molti astronomi, i prossimi potrebbero essere ancora meno intensi. In passato, in concomitanza con cicli molto deboli, la Terra si raffreddò notevolmente, e anche questa potrebbe infine essere una conseguenza inattesa per il prossimo periodo del nostro pianeta.
Se il pianeta si sta davvero raffreddando per effetto della ridotta attività solare in questa fase, ma registriamo comunque degli innalzamenti della temperatura, potrebbe non voler dire che l’osservazione è errata, ma che l’effetto serra e il surriscaldamento generale dovuto all’attività antropica sono mascherati dal raffreddamento causato dall’attività solare. Purtroppo, però, mentre quest’ultima è ciclica e presto il Sole tornerà a scaldarci come in precedenza, gli effetti di riscaldamento causati dall’uomo vanno in una sola direzione, dunque la fine del ciclo solare potrebbe rivelarsi per l’umanità più una doccia fredda una sauna davvero molto calda. La mitigazione degli effetti del riscaldamento permette, infatti, ad alcuni di negare le colpe dell’uomo e di impedire l’avvio di contromisure, ma la fine del ciclo solare potrebbe proiettarci ancora più in fretta in una situazione drammatica di innalzamento delle temperature mondiali. Se il Ciclo 24 terminerà tra il 2019 e il 2020 e il Ciclo 25 sarà ancor più debole, significa che ci attende un periodo di “freddo solare” di almeno 12-13 anni, che c’ingannerà sugli effetti delle nostre attività.
Il Sole, come riportato da Meteoweb, a differenza di altre stelle, è una stella molto costante in dimensioni e luminosità, con variazioni dello 0,1% nel corso della sua attività undecennale. Un numero sempre crescente di ricercatori, tuttavia, crede che queste piccole variazioni possano avere un effetto significativo sul clima terrestre. È quanto sostiene un rapporto pubblicato dal National Research Council (NRC), dal titolo “Gli effetti della variabilità solare sul clima della Terra”. Il rapporto NRC suggerisce, tuttavia, che l’influenza della variabilità solare è più regionale che globale, in quanto non tutte le aree del globo sono interessate allo stesso modo.
Intanto, il 14 Luglio 2017, c’informa la RSI (Radiotelevisione Svizzera) che l’estate 2017 potrebbe essere ricordata come una delle più calde della storia. Giunti alla metà della stagione si registrano in Svizzera già quattro gradi oltre la media e non sono previsti fronti freddi nei prossimi giorni.
L’estate 2017 si è già rivelata particolarmente calda, ma come nel 2003, anche quest’anno agosto potrebbe rivelarsi il mese peggiore. Una recente ricerca condotta dalla Columbia University ha analizzato più di 100 modelli, arrivando alla conclusione che l’estate sarà oltre che calda, anche afosa e prolungata. Con tutta probabilità si toccheranno anche i 40°C all’ombra.
C’è chi sostiene che il 2017 ancora non sia da record, come Meteo Giuliacci, sostenendo che, prese 40 località italiane, in queste i 34 gradi sono stati superati nel mese di giugno 2017 134 volte, mentre nel giugno 2003 261 volte, nel 2002 147 e nel 2006 145 volte. Non sarà stato, in Italia, un giugno da record assoluto, ma comunque caldo.
Con buona pace di costoro, peraltro, secondo il rapporto climatico del NOAA (l’agenzia federale statunitense), giugno 2017 è stato il terzo mese di giugno più caldo in 138 anni. In Europa ci sarebbero stati 1,77 gradi sopra la media, come riportato anche da Sky TG24. Un trend confermato anche da altri importantissimi centri di calcolo, come ad esempio il JMA giapponese e dall’europeo ECMWF. I mesi di giugno immediatamente successivi per temperatura, sempre secondo il NOAA, sono quelli dei due anni passati, 2015 e 2016, a segnalarci come l’innalzamento non sia solo un fatto episodico di quest’anno.
Non solo. Secondo Meteo Giornale, la prima metà dell’anno, ovvero la temperatura media registrata tra gennaio e giugno 2017, è la seconda più alta della storia moderna dietro soltanto al 2016.
Un altro dato impressionante: siamo arrivati a 390 mesi consecutivi nei quali la temperatura globale supera la media di riferimento. Nel caso di giugno 2017 quella combinata (superficie della terra e degli oceani) si attestava 0,82°C al di sopra della media del 20° secolo (raggiungendo quota 15,5°C), lasciandosi alle spalle i record del 2015 e del 2016.
Sempre secondo Meteo Giornale, la temperatura della sola superficie terrestre è stata la quarta registrazione di sempre, con 1.15°C al di sopra della media del 20° secolo.
Analizzando le anomalie termiche per continente, in Africa è stato il giugno più caldo di sempre; in Europa il secondo (al pari del 2007); nel Sud America il terzo (pari al 2005); in Asia l’ottavo; Nord America il decimo; in Oceania il cinquantesimo.
Come riportato da Sky TG24, secondo il Goddard Institute for Space Studies della Nasa, invece, giugno 2017 sarebbe stato il quarto più caldo dal 1880. Il dato è particolarmente rilevante in Europa dove il mese di giugno sarebbe addirittura il secondo più caldo dopo quello del 2003, che nel Vecchio Continente era stato particolarmente torrido.
Anche in Italia, stando ai dati diffusi in precedenza dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del CNR, giugno 2017 è stato il secondo più caldo, con il termometro a +3,22°C, il dato più alto dopo il record del 2003 con +4,79°C.
Insomma, i dati non sono perfettamente allineati, le classifiche discordano e forse giugno non sarà stato quello più caldo di sempre, ma le temperature si stanno alzando come non mai dai tempi di Giulio Cesare. Aspettiamo che si concluda luglio per leggerne i dati e poi vedremo come va agosto, ma questa sembra comunque davvero un’estate torrida e c’è quindi poco da stupirsi se sta generando siccità e incendi.
La riduzione del livello del Lago di Bracciano dipende sia dalla siccità in sé, sia dalle captazioni per soddisfare l’immane sete d’acqua del popolo dell’Urbe.
Nel 2014, secondo Lifegate, 1 miliardo le persone non aveva accesso all’acqua potabile.
Dai 3 ai 4 miliardi erano quelle senza acqua sufficiente e in quantità stabili.
8 milioni erano le persone che morivano a causa di malattie legate all’insicurezza dell’approvvigionamento d’acqua. Sono 1,4 milioni i bambini, che muoiono ogni anno per malattie causate da acqua contaminata e dall’assenza di misure igieniche adeguate. Uno ogni 20 secondi.
Sempre secondo Lifegate, ogni abitante degli Stati Uniti consuma 425 litri al giorno, mentre un abitante del Madagscar ne consuma 10 litri. 215 litri è il consumo medio pro capite d’acqua potabile al giorno, in Italia. Purtroppo si usa anche per usi in cui non servirebbe che sia potabile. In Italia non riusciamo a percepire l’acqua come un bene prezioso. Eppure lo diventerà ogni anno di più e dovremo cercare di cambiare il nostro approccio nel suo utilizzo.
Secondo uno studio di Kinsey & Co, la riserva idrica di ogni italiano è di 140 litri, contro i 2.200 litri di uno statunitense, i 3.300 litri di un australiano e i 1.100 litri di uno spagnolo.
Secondo l’Ocse, la domanda mondiale di acqua dal 2014 al 2050 aumenterà del 55%.
Secondo l’OMS, la quantità minima di acqua al giorno per soddisfare i bisogni vitali è di 40 litri, mentre il 40% della popolazione mondiale vive sotto questa soglia ed è di 300 litri al giorno il consumo medio stimato nei Paesi più ricchi. Peraltro, negli Stati Uniti l’utilizzo pro capite annuo di acqua (compresi usi agricoli e industriali) è di 1700 metri cubi, contro 250 metri cubi in Africa.
Secondo il rapporto Onu “UN-Water”, nel 2014 c’erano 2,5 miliardi le persone che vivevano in zone senza acquedotti e senza infrastrutture.
Sono ancora 1 miliardo le persone che non hanno un rubinetto in casa.
Entro il 2030 un terzo degli abitanti del Terzultimo Pianeta del Sistema Solare, la Terra, vivrà in zone in cui l’acqua scarseggia, mentre due terzi della popolazione mondiale potrebbe trovarsi in condizioni di “stress idrico” già entro il 2025. Siamo già tra loro?
La seconda edizione di “Eating Planet. Cibo e sostenibilità: costruire il nostro futuro” presentato nel 2016 dalla Barilla Center for Food and Nutrition (Edizioni Ambiente) raccoglie i dati relativi all’impronta dell’uomo nel mondo, al suo impatto ambientale e indica la strada per la sostenibilità ecologica.
In Europa, così come emerge dal libro, l’Italia è maglia nera per impronta idrica pro capite, con un totale annuo di 2.232 metri cubi di acqua dolce. Un quantitativo che viene calcolato considerando il volume totale di acqua dolce impiegata in tutte le fasi, anche quella cosiddetta ‘virtuale’ o invisibile, perché non contenuta direttamente nel prodotto.
In Italia, quest’acqua virtuale contribuisce all’89% del totale del consumo giornaliero. Il consumo dell’acqua varia anche in base al tipo di dieta che si osserva. Così, per esempio, un regime alimentare ricco di carne, comporta un consumo d’acqua ‘virtuale’ che oscilla tra i 4.000 e i 5.400 litri, a differenza di una dieta vegetariana che, invece, va dai 1.500 ai 2.600 litri. Insomma, non consumiamo acqua solo quando apriamo il rubinetto per bere o lavarci o la versiamo da una bottiglia. Consumiamo indirettamente acqua per molteplici attività, innanzitutto legate all’industria alimentare.
Un dato da non dimenticare è che il pianeta Terra dispone di 1,4 miliardi di chilometri di cubi di acqua. Di questo, però, solo lo 0,0001% del totale è effettivamente disponibile per l’utilizzo dell’uomo. La maggior parte non è potabile e altra è inaccessibile.
Tra agricoltura, industrie e famiglie, è il settore agricolo a consumare più acqua con il 70% del totale. Al secondo posto l’industria con il 22%, infine l’uso domestico con l’8%. Il peso dell’agricoltura è ancora più alto nei paesi a medio e basso reddito, dove il consumo raggiunge anche il 95%, mentre in quelli più sviluppati predomina il consumo di acqua per uso industriale con il 59%.
Insomma, surriscaldamento globale e uso intenso delle risorse idriche stanno minando le riserve di acqua potabile del pianeta.
Più della metà delle grandi falde acquifere mondiali si sta consumando in maniera crescente. A lanciare l’allarme è la NASA, con la pubblicazione di dati di uno studio durato un decennio, di cui ci parla Greenstyle il 18/06/2015. Secondo gli scienziati della NASA, 20 delle 37 falde acquifere più grandi al mondo hanno oltrepassato un punto critico. Questi siti, che si trovano in diverse zone del pianeta come India, Cina, Francia e Stati Uniti, sono stati sfruttati in maniera intensiva prelevando più acqua di quanto ne producano.
In questo momento, secondo gli esperti della NASA, la falda acquifera più sfruttata si trova nella penisola araba e rifornisce 60 milioni di persone. Altre importanti falde che si trovano sotto pressione sono in Libia, Niger, India e Pakistan.
La situazione, secondo Jay Famiglietti, professore dell’Università della California che ha partecipato all’analisi, è destinata a peggiorare a causa della crescita della popolazione, all’impatto dell’agricoltura e ai cambiamenti climatici in atto. Il sovrasfruttamento delle acque deve essere invertito, con nuove strategie operative che garantiscano un consumo sostenibile. Un esempio lampante, secondo i ricercatori, è la California, che attinge alle falde acquifere per il 60% del suo consumo di acqua. Regioni simili, quando fiumi e riserve sono a secco per la siccità estiva, sono costrette a rifornirsi direttamente alle falde, cosa che la California dovrà fare entro la fine del 2015.
In totale le falde acquifere forniscono il 35% di acqua utilizzato a livello mondiale: nei periodi caldi e nelle zone più a rischio siccità, la domanda sale continuamente.
Fra gli obiettivi dell’Agenda Onu per il 2030, scrive La Stampa il 13/05/2017, c’è la sicurezza e sostenibilità idrica per tutte le aree del pianeta. Le proiezioni, però, dicono che il fabbisogno della popolazione mondiale potrebbe superare di oltre il 40% le risorse di acqua dolce entro quella data. L’emergenza idrica è già una realtà.
Secondo il Dottor Fred Bolz, esperto di Ecosistemi per la Fondazione Rockefeller e responsabile del programma Freshwater Resilience, la FAO, nel 2014, ha stimato che la carenza d’acqua affligge già tutti i continenti, all’incirca metà delle grandi città del mondo e più del 40% della popolazione globale. Entro il 2025, 1,8 miliardi di persone vivranno in paesi e aree soggette a carenza assoluta di risorse idriche, mentre i due terzi della popolazione mondiale potrebbero dover affrontare condizioni di stress idrico.
I bacini idrici vengono usurpati ogni anno dalla necessità legate al trasporto marittimo, aereo e terrestre. Inoltre proseguono la costruzione e l’utilizzo di condotti subacquei, come i gasdotti, per il trasporto di petrolio, gas, prodotti agroindustriali e biocarburanti. La loro estrazione e il loro trasporto inquinano sempre di più terra e acqua, in una situazione di sovrasfruttamento. Le attività umane inquinano e impoveriscono le risorse di acqua dolce. Gli ecosistemi di acqua dolce sono l’habitat di oltre il 40% delle specie di pesci nel mondo. Secondo il National Geographic, pesci e animali marini stanno subendo gravi danni a causa dell’uomo, tanto che più del 20% delle specie di pesci d’acqua dolce conosciute si sono estinte o sono state minacciate negli ultimi decenni.
Se la situazione del Lago di Bracciano tocca da vicino milioni di Italiani, ci sono laghi nel mondo che se la passano peggio. A volte le cause sono legate soprattutto al riscaldamento globale, altre volte allo sfruttamento umano delle acque. L’inquinamento, inoltre, peggiora drasticamente la qualità delle risorse idriche che abbiamo a disposizione sul nostro Pianeta.
In Russia il lago Baikal rappresenta il più grande serbatoio di acqua dolce del mondo, ma purtroppo risulta contaminato da scarichi di acque reflue in cui sono stati rilevati agenti patogeni. Il lago Baikal contiene il 20% dell’acqua dolce di tutto il Pianeta e l’80% per quanto riguarda la sola Russia.
Il secondo lago più grande della Bolivia si è completamente prosciugato. Da dicembre 2015 il lago Poopó, che per dimensioni era secondo solo al Titicaca, è completamente asciutto. La popolazione locale ha dovuto abbandonare la zona, per via della mancanza di acqua. Il riscaldamento globale secondo gli esperti ha inciso sul prosciugamento delle acque del lago negli ultimi decenni. Si trattava di un’oasi importante per la presenza degli aironi e di una risorsa per i pescatori. Ecco, di conseguenza, vere e proprie migrazioni di persone a causa dei cambiamenti climatici.
Un lago della California, il Folsom Lake, nel settembre 2015 si sarebbe prosciugato quasi del tutto in una sola notte. Gli abitanti hanno dato la colpa alle attività della società elettrica locale, che però sul momento ha negato tutto.
Il Lago Ciad, negli ultimi cinquant’anni si sta via via prosciugando a causa della terribile siccità che ha colpito il Sael e per via delle scarse precipitazioni che caratterizzano questa regione. Tra le altre cause troviamo la cattiva gestione delle risorse idriche da parte dei Governi locali che purtroppo hanno ignorato la situazione e gli allarmi degli scienziati e non sono intervenuti.
Il lago Poyang, in Cina, anno dopo anno, si sta prosciugando probabilmente a causa della siccità e dei cambiamenti climatici.
A causa del tasso di evaporazione elevato (da 600 mm a 1.000 mm all’anno), il lago di Urmia è in continua fase di restringimento. Si tratta di un lago salato che rappresenta il maggiore dei laghi interni dell’Iran. L’aumento dell’evaporazione, le piogge sempre meno frequenti e la costruzione di dighe hanno messo in pericolo il futuro di questo lago e la sua esistenza come habitat naturale per numerosi animali marini e volatili.
Negli ultimi decenni il lago Mead, che si trova in Nevada, ha perso almeno il 60% del proprio volume idrico. Talvolta viene sfruttata l’acqua del lago Powell per innalzare il livello del lago Mead, dato che i due bacini sono collegati dal fiume Colorado, ma questo intervento provvisorio non risolve il problema all’origine.
Il lago Powell si trova al confine tra Arizona e Utah. È nato dalla costruzione della diga di Glen Canyon lungo il fiume Colorado. Negli ultimi anni il livello del lago si è notevolmente abbassato a causa della crisi climatica e il fenomeno sta riportando alla luce i territori che l’uomo ha sottratto alla natura per realizzarlo.
Il lago Owens all’inizio del Novecento era ricco di acqua, ma in seguito il suo contenuto è stato dirottato verso gli acquedotti dal Dipartimento di Los Angeles per l’acqua e l’elettricità. Ora la superficie del lago viene coperta solo in parte dall’acqua con cui viene irrigato per evitare che si formino tempeste di polvere in grado di creare problemi respiratori agli abitanti.
Il lago di Aral è un lago salato di origine oceanica, situato alla frontiera tra l’Uzbekistan e il Kazakistan. Il livello delle sue acque è in calo dagli anni Sessanta, cioè da quando è iniziata la deviazione dei fiumi che lo alimentano per l’irrigazione agricola. Il lago d’Aral negli anni ’60 era il quarto più grande del mondo. Nel 2014 il suo bacino orientale si è totalmente prosciugato.
Purtroppo il problema con l’acqua non è solo legato al suo esaurimento, ma anche al deterioramento della sua qualità.
Come ci insegna il sito della Protezione civile, ci sono diversi tipi di inquinamento dell’acqua:
- civile: deriva dagli scarichi delle città, quando l’acqua si riversa senza alcun trattamento di depurazione nei fiumi o direttamente nel mare;
- industriale: formato da sostanze diverse che dipendono dalla produzione industriale;
- agricolo: legato all’uso eccessivo e scorretto di fertilizzanti e pesticidi, che essendo generalmente idrosolubili, penetrano nel terreno e contaminano le falde acquifere.
Alcune sostanze chimiche presenti nell’acqua sono particolarmente pericolose per la salute dell’uomo e per la sopravvivenza di numerose specie viventi, come ad esempio alcuni metalli (cromo, mercurio) o composti quali i solventi clorurati.
Gli scarichi industriali contengono una grande quantità di inquinanti e la loro composizione varia a secondo del tipo di processo produttivo. Il loro impatto sull’ambiente è complesso: spesso le sostanze tossiche contenute in questi scarichi rinforzano reciprocamente i propri effetti dannosi e quindi il danno complessivo risulta maggiore della somma dei singoli effetti. I fertilizzanti chimici usati in agricoltura e i liquami prodotti dagli allevamenti sono ricchi di sostanze organiche che, dilavate dalla pioggia, vanno a riversarsi nelle falde acquifere o nei corpi idrici superficiali. A queste sostanze si aggiungono spesso detriti più o meno grossi, che si depositano sul fondo dei bacini. L’inquinamento marino è principalmente di origine terrestre, in particolare è una conseguenza dell’immissione di acqua di scarico e di affluenti industriali nei fiumi, che poi portano le sostanze inquinanti al mare. Della gran quantità di plastica presente nei mari e dei suoi effetti abbiamo già parlato.
Leggiamo sul sito di Legambiente che gli indicatori per la valutazione della qualità delle acque (fissati dal decreto legislativo 152/99) ci restituiscono un quadro molto preoccupante. Lo stato di salute dei fiumi italiani è in molti casi critico: un campione su cinque ha una qualità scarsa o pessima. Un quarto delle acque sotterranee ha qualità scadente, per cause antropiche: tra i principali contaminanti troviamo i nitrati, sostanze presenti nei fertilizzanti. È ancora l’eccessivo uso di fertilizzanti la causa della frequente eutrofizzazione dei laghi: la crescita smodata della flora acquatica che stravolge l’equilibrio naturale degli specchi d’acqua. Quanto ai mari, oltre alle sostanze portate dai fiumi, l’inquinamento è dovuto prevalentemente al petrolio e ai suoi derivati, che in grandi quantità viaggiano per nave. Incidenti, scarichi, pulizia di cisterne in mare aperto portano nel Mediterraneo, ad esempio, 100-150 mila tonnellate di idrocarburi ogni anno: nel Mare nostrum è presente la quantità di catrame pelagico media più alta del mondo (38 milligrammi per metro cubo), dieci volte quella dei mari del Giappone, 50 volte quella Golfo del Messico.
In Italia 198 km di coste nel 2008 risultavano non balneabili perché inquinati (sul totale di 7.375).
Mentre le falde acquifere sotterranee, i laghi e i fiumi si prosciugano e i ghiacciai si sciolgono, mescolando le loro acque dolci a quelle salmastre degli oceani, riducendo così le riserve potenziali di acqua potabile del Terzultimo Pianeta, il consumismo crescente e un incremento demografico della popolazione mondiale irrefrenabile, rendono sempre maggiori i consumi di acqua e il suo inquinamento.
Le cause possono sembrare molteplici, ma dietro questo essiccamento della Terra c’è sempre l’inarrestabile dilagare dell’uomo e la sua moderna incapacità di trovare un’armonia con il pianeta, limitandone lo sfruttamento.
Di questo passo, molto presto un improbabile visitatore extraterrestre, giungendo sul Terzultimo Pianeta andando verso il Sole, invece della bella sfera azzurra che abbiamo imparato a conoscere grazie ai primi timidi voli spaziali, potrebbe vedere solo un arrido mondo giallastro come le sabbie del deserto.
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