Articolo pubblicato su IUA n° 8, Anno II, Settembre 2015
Quante volte leggiamo sui giornali o sentiamo in TV che i ghiacci si stanno ritirando su tutto il pianeta, dall’Artide all’Antartide, passando per le grandi catene montuose a nord e a sud dell’Equatore, a causa del riscaldamento globale?
Bene, tutto ciò può impressionarci, ma non mai come quando possiamo constatare con i nostri occhi l’andamento del fenomeno.
A me è capitato questa estate, e precisamente intorno alla metà di Luglio, di tornare, dopo più di un quarto di secolo, a un punto di osservazione davvero privilegiato, dal quale è possibile godere della visione del più esteso dei ghiacciai delle Alpi orientali, quello del Monte Cevedale (m. 3750).
Si tratta del Rifugio Larcher (m. 2616), raggiungibile con una facile, seppur faticosa, passeggiata, dal limite settentrionale della Val di Pejo. Siamo in Trentino, nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio, una zona dominata dal massiccio montuoso del Monte Vioz e appunto, del Cevedale, resi indimenticabili agli occhi del visitatore dal candore dei ghiacci perenni che vi dimorano.
Il Rifugio, dall’ultima volta che vi sono stato, è stato rinnovato ed è ora veramente molto accogliente: all’esterno sventolano sempre i vessilli dell’Italia, dell’Unione Europea, dell’Austria e del C.A.I., i tavolini sono affollati di escursionisti, in calzoncini corti e maglietta (il che la dice lunga su quale sia la temperatura di questo mese di luglio a un’altezza superiore a 2500 m.), uno stormo di gracchi alpini (Phirrocorax graculus) vola a bassissima quota in attesa di carpire qualche briciola dalle colazioni al sacco dei turisti. Sono intelligenti e piuttosto confidenti, questi corvidi d’alta quota, me lo ricordavo bene: se gli offrite una mollica e state a qualche metro di distanza, è agevole fotografarli, come potete vedere dall’immagine acclusa.
Bei momenti, da trascorrere sorseggiando una Radler o assaggiando uno dei dolci tipici che costituiscono la parte più “golosa” del menu del rifugio; non fosse per la stretta al cuore che provi quando, dalla vetta candida della montagna, la vista scorre verso il basso, lungo la vedretta, che non è più tutta scintillante come ricordavi, ma si tinge a tratti di un colore più cupo, blu intenso, dove il ghiaccio non è più protetto dalla neve recente e si intuisce facilmente che la fusione, soprattutto d’estate, deve essere rapida. Ma il dramma ha inizio più in basso, dove, ben mi ricordo, trenta anni or sono il ghiacciaio attanagliava ancora la roccia per centinaia di metri… ed ora è totalmente svanito… ridimensionato come un gelato alla crema nelle mani di un bambino troppo goloso.
Qui però non si tratta di qualche centimetro di Buontalenti, ma di uno spessore di decine e decine di metri di neve, solidificatasi in ghiaccio durante migliaia di anni, che si è squagliato nel giro di qualche decennio.
Qualcuno mi dice che sul lunghissimo crinale risplendente di neve al sole, dove ora minuscoli puntini si muovono, indicandoci che vi è una cordata in ascensione, un tempo non molto lontano la via era agevole, niente più che una lunga e faticosa escursione sulla neve, mentre adesso essa è infida, costellata di mutevoli crepacci, per cui ci si può avventurare solo con guide alpine molto esperte…
E il resto del ghiacciaio? Tutto, tutto è condannato a scomparire nel giro di altri venti, trenta anni, cosa del resto comune agli altri “fratelli di gelo” delle Alpi.
Ormai, non possiamo farci niente, tranne qualche miserando tentativo di “preservare” dei tratti interessati dallo sci estivo, coprendoli con teloni, come è accaduto per il vicino ghiacciaio dell’Adamello, sopra il Passo del Tonale.
E non è tutto: dove la roccia è più friabile, come sulle Dolomiti, lo scioglimento dei ghiacciai sta provocando, e sempre più provocherà, fenomeni di sfaldamento, frane, crolli di intere pareti…
Scendo lungo la Val de Lamare, dalla tipica forma a U propria delle valli d’origine glaciale, e so che anche qui, un secolo o due fa, il ghiacciaio era ben vivo, sorgente d’acqua e di vita per le genti e gli animali più in basso. Ne sono testimonianza le “rocce montonate”, che presentano le tracce d’erosione provocate dal peso e dai movimenti del ghiacciaio nel corso del tempo.
Qualche bellissimo fiore alpino, con i suoi colori, cerca di distrarmi dalle mie non liete meditazioni.
Lo fotografo per portarmelo a casa, senza danneggiarlo. Una nota cromatica con cui chiudo questo articolo.
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