Articolo pubblicato su IUA n° 4, Anno IV, Aprile 2017
Nessuno parla più del Deposito Nazionale delle scorie nucleari in Italia e della sua ubicazione: ma è solo questione di tempo…
Rischia davvero di cadere nel dimenticatoio collettivo, ma la patata è così bollente che non si può lasciarla cadere nelle mani del popolo italiano prima di una tornata elettorale, e del resto è senz’altro difficile individuare, nel nostro Paese, un periodo che non sia pre-elettorale; quello che sembra certo è questo: qualsiasi governo prenderà le decisioni definitive, rischia di perdere immediatamente qualche milione di voti.
Ci riferiamo alla definizione del “Progetto nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi” e all’individuazione del sito dove realizzare il deposito delle scorie nucleari che si sono prodotte, e si continueranno a produrre, in Italia, nonostante la rinuncia a questo tipo di fonte energetica con il noto referendum svoltosi nel 1987.
Infatti, oltre che nelle centrali nucleari, scorie radioattive, seppure in modesta quantità e di basso-medio livello di emissioni, si producono ovunque siano in funzione macchinari che utilizzino componenti radioattive: in medicina, ad esempio (TAC, radioterapia ecc.), ma anche nell’industria e nella ricerca.
Al momento, tutti i rifiuti radioattivi sono “conservati” in prevalenza nei luoghi dove sorgono le centrali nucleari non più attive; in questo, fa la non invidiabile “parte del leone” il Piemonte (Trino Vercellese), che custodisce il 73% circa dei residui; tra Campania e Basilicata è ubicato un altro 20% del materiale. Tali depositi non sono e non possono essere definitivi, perché non sono stati concepiti a questo scopo. Anzi, i rischi relativi alle loro deficienze sono stati più volte segnalati e preoccupano le comunità locali.
In tutti gli altri paesi europei, del resto, è stata già definita la proceduta di realizzazione di un unico deposito per le scorie radioattive, e in alcuni casi -come in Inghilterra – è già stato individuato il luogo dove ubicarlo, assicurando al contempo la massima sicurezza alle popolazioni coinvolte e incentivi tali da rendere sopportabile, se non appetibile, la disponibilità ad ospitare – nei secoli dei secoli – un tale fardello.
A che punto si è in Italia? L’ISPRA (Istituto per la sicurezza ambientale) ha stabilito dei criteri di esclusione e di inclusione nella lista dei siti possibili – ad esempio, tutte le zone sismiche, o quelle soggette a frane, o quelle situate a oltre 700 metri. di altezza, oppure vicinissime al mare, sono di fatto tra i luoghi esclusi. Nei fatti, la stragrande maggioranza del territorio della penisola rientra nella lista delle zone escluse. Rimangono alcuni lembi di territorio, localizzati nella pianure alluvionali, in Toscana, nel Lazio, in Basilicata, in Campania e in qualche altra regione. Non si parla, per ora, di Sardegna e di Sicilia: la seconda perché ovviamente sismica, la prima, invece, per conformazione geologica particolarmente stabile, presenterebbe dei siti molto interessanti, e la sua esclusione quindi non sembra definitiva.
Quel che sappiamo, è che la SOGIN, azienda che gestisce nei fatti i rifiuti radioattivi, ha già pronto da tempo l’elenco dei 100 siti adatti alla bisogna (CNAPI); sembrerebbe intenzionata a comunicarli subito dopo l’estate, in un periodo che si suppone tranquillo dal punto di vista politico: ma non si sa per certo.
La procedura prevede poi che si svolga un ampio dibattito, con veri e propri seminari-conferenze destinati allo scopo, tra tecnici, governo, rappresentanti delle Regioni interessate, una consultazione da cui dovrebbero emergere località le cui amministrazioni manifestino la non contrarietà a ospitare il Deposito Nazionale. Per addolcire la pillola, il progetto prevede che, nel luogo prescelto, sia realizzato anche un grande Parco Tecnologico, dove si faccia ricerca sulle tecniche di “decomissioning”, ossia di smantellamento delle strutture nucleari. Un Centro Studi a livello europeo che dovrebbe assicurare la creazione di molti posti di lavoro.
Le previsioni di realizzazione del Deposito parlavano, fino a un paio di anni fa, del 2019; ma la data ormai pare davvero dover slittare a chissà quando.
Per il momento, segnaliamo le fondate e reiterate proteste delle Associazioni ambientaliste piemontesi, che vedono ampliarsi i depositi “temporanei” ubicati in Piemonte…
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