Articolo pubblicato su IUA n° 4, Anno IV, Aprile 2017
C’è stato un certo entusiasmo, giustificato, a fronte della scoperta che intorno alla stella denominata Trappist-1 ci sono ben tre pianeti che somigliano alla Terra. Ho già affrontato alcune riflessioni sul tema nel numero di marzo di “L’Italia, l’Uomo, l’Ambiente”, ma vorrei ora farne delle altre.
Trappist-1 in termini astronomici è piuttosto vicino, ma non lo è per nulla in termini umani. Affrontare un viaggio interstellare attraverso uno spazio di 39 anni luce, tale è la distanza che ci separa, presenta al momento una serie di problemi che sembrano ancora insormontabili alla luce delle conoscenze e della tecnologia attuali. È davvero così?
Tutti i problemi derivano dalla distanza. Fare un viaggio di 39 anni, se fosse possibile viaggiare alla velocità della luce, sarebbe già molto impegnativo.
Purtroppo, tale velocità non è raggiungibile e tanto meno superabile in base alle teorie fisiche, salvo ipotizzare cose come salti nell’iperspazio, attraversamento di whorm-hole o buchi neri e altre ipotesi solo immaginarie.
Il primo dato di fatto di cui dobbiamo prendere atto è che 39 anni luce equivalgono a 369 mila miliardi di chilometri.
New Horizons, al momento la sonda più veloce mai lanciata dall’uomo, è arrivata oltre Plutone nel 2015 e ora è in viaggio fuori dal Sistema Solare, a una velocità di 14,31 chilometri al secondo, ovvero circa 51.499 Km/h. Avanzando a questo ritmo, New Horizons impiegherebbe circa 817mila anni per raggiungere TRAPPIST-1!
La fantascienza ha immaginato una serie di metodi per superare queste distanze. Cominciamo con escludere quelli più comodi ma anche meno praticabili come, appunto, scorciatoie che ci permettano di viaggiare più veloci della luce. Se mai un giorno saranno praticabili, sarà come aver vinto alla lotteria, ma al momento credo che le probabilità siano ancor più sfavorevoli di altre ipotesi.
Il primo problema da superare è rendere il tempo di viaggio ragionevole. Partiamo dall’idea che per ora ci vogliono almeno 817.000 anni.
800.000 anni fa cominciavamo a lavorare la pietra. La civiltà umana, da quando è nata la scrittura e un minimo di tecniche, ha solo circa diecimila anni. Immaginare una sorta di città spaziale che viaggi per un tempo simile, a parte l’usura della medesima, sarebbe socialmente impensabile la sua sopravvivenza. Avremmo il tempo di sprofondare in medioevi distruttivi centinaia di volte o di estinguerci o di distruggere la nave in qualche guerra fratricida, lasciando a parte eventi esterni, come essere colpiti da un meteorite.
Occorre allora ridurre i tempi di percorrenza di almeno mille volte. Abbiamo, insomma, almeno bisogno di una nave che viaggi a 50 milioni di chilometri orari! Sembra impossibile.
Ammettiamo per ora che ci si riesca. Come potremmo attraversare lo spazio per 800 anni? La fantascienza ha immaginato le cosiddette “navi generazionali”, ovvero delle città spaziali che viaggiano attraverso lo spazio portandosi dietro un gran numero di persone che nascono e muoiono all’interno, generazione dopo generazione, per ottocento anni! Il rischio che questa società imploda è un insegnamento fin troppo facile della storia. Basta tornare indietro di 800 anni o, magari, di altri 800.
Durante questo viaggio la popolazione umana potrebbe essere addormentata. Le tecniche di congelamento umano stanno facendo progressi. Alla fine del 2016 pare che nel mondo ci fossero già 377 persone crioconservate. Si occupano a oggi di ibernazione umana tre società l’Alcor, in Arizona, il Cryonics Institute sempre negli Stati Uniti, vicino a Detroit e fondato da Robert Ettinger, ‘padre’ della crionica, e la KryoRus, nata nel 2006 in Russia. I costi variano da 36.000 a 200.000 dollari per l’intero corpo. Ci sono tariffe più basse per conservare solo il cervello. Il primo uomo ibernato della storia è stato lo statunitense James Bedford, professore di psicologia dell’Università della California, congelato dal 1967 e ancora sottozero. La crionica consiste nell’abbassamento graduale ma rapido, in fasi, della temperatura corporea di persone dichiarate legalmente morte, fino al raggiungimento della temperatura dell’azoto liquido. Se lo si fa entro mezz’ora dalla morte la decomposizione si ferma. C’è solo un “piccolo” problema: le tecniche non permettono di riportare in vita i corpi crioconservati. Chi decide di farsi ibernare dopo la sua morte, spera in futuro di essere ‘risvegliato‘ e curato dalla malattia che gli è costata la vita, grazie a presunte nuove competenze mediche acquisite dopo anni di ricerche. Si parla, insomma, di defunti e la resurrezione è per ora territorio della religione più che della scienza!
Peraltro, alcuni campioni biologici sono già stati criopreservati, cioè portati e mantenuti alla temperatura dell’azoto liquido (fermandone la decomposizione) e riportati in vita. Fra questi interi insetti, certi tipi di anguille, molti tipi di tessuti umani (fra i quali quelli cerebrali), embrioni umani e alcuni organi di mammiferi.
Ammesso che un giorno si trovi il modo di risvegliare un uomo crioconservato, il mio dubbio in proposito riguarda il numero di anni o mesi in cui sarà possibile conservare la possibilità di risveglio. Penso banalmente che gli alimenti in freezer non dovrebbero essere consumati dopo essere rimasti congelati troppo a lungo.
Il foodsafety.gov, il portale per la sicurezza alimentare del governo degli Stati Uniti, e il U.S Food and drug administration, per esempio, sconsigliano di consumare un hamburger o una zuppa vegetale congelati da più di 3 mesi, mentre un pollo intero o una bistecca possono durare un anno e il pesce 6 mesi.
Se questo è vero per organismi morti, a maggior ragione ci dovrebbe essere un limite per organismi “viventi”. Dubito che l’ibernazione permetterà mai di riportare in vita un uomo dopo 800 anni!
Si è detto però che sono stati riportati in vita embrioni umani. La crioconservazione degli embrioni costituisce parte essenziale dei trattamenti di riproduzione assistita, poiché consente di conservare gli embrioni per utilizzarli in un secondo momento.
La crioconservazione degli embrioni è una tecnica consolidata sia per gli embrioni allo stadio di zigote, come allo stadio di cellule, pur esistendo anche l’opzione di crioconservarli allo stadio di blastocita.
La crioconservazione degli ovociti è un’altra metodica attualmente usata per permettere una gravidanza futura, per esempio a una paziente oncologica giovane che deve essere sottoposta a trattamenti chemio/radioterapici tali da compromettere in maniera significativa la riserva ovarica. Questa tecnologia ha consentito di ottenere in tutto il mondo buoni risultati clinici in termini di gravidanza. Il loro utilizzo può avvenire anche dopo molti anni. Gli ovociti sopravvissuti allo scongelamento potranno essere inseminati mediante la tecnica di iniezione dello spermatozoo nel citoplasma dell’ovocita. Il recupero funzionale degli ovociti dopo scongelamento è attualmente di circa il 70%.
La crioconservazione del liquido seminale dà la possibilità all’uomo di utilizzare i propri spermatozoi nelle situazioni che mettono a rischio la sua fertilità anche solo per un periodo temporaneo e offre alle coppie la possibilità di accedere successivamente a tecniche di procreazione medicalmente assistita. Nei campioni crioconservati si ha comunque un peggioramento della qualità del seme dovuta sia a una riduzione della motilità che a possibili danni ultrastrutturali a livello della membrana cellulare, dei mitocondri e a un aumento del grado di denaturazione del DNA. Leggo nel regolamento di una banca del seme, che questo può essere conservato “praticamente per sempre”, ma poi specifica che l’interruzione della crioconservazione può avvenire per usare il campione per qualsiasi terapia; se il donatore indica che non desidera più conservare il campione; se sospende il pagamento del canone (nel caso esaminato sono € 200 l’anno per ogni campione); in esecuzione del testamento del donatore. Dunque, “per sempre” è forse da intendersi in connessione con la durata della vita umana, una sorta di “finché morte non vi separi”. Quanto a lungo potrebbe essere conservato oltre tale scadenza? Leggo altrove che alcuni studi hanno dimostrato che una conservazione fino a 30 anni non altera la qualità del seme. La tecnica è forse relativamente troppo nuova perché si possa immaginare cosa succederebbe in alcuni secoli.
Insomma, oltre all’ibernazione umana, ci sono già tecniche che consentirebbero di trasportare nello spazio embrioni, ovociti o sperma umano, consentendo la nascita degli individui in un momento successivo.
Il dubbio è per quanto tempo questi potrebbero essere conservati? Oggi queste sono tecniche per consentire gravidanze future, dunque, ne è previsto l’uso nell’arco della vita di una persona. Funzionerebbero dopo mille anni?
La loro durata dipende dalla tecnica e questa potrebbe essere migliorata oppure embrioni, ovociti e spermatozoi hanno una “vita massima” anche in crioconservazione?
Possono esserci altre tecniche per preservarli nei secoli?
Ammettiamo di essere riusciti a superare le prime due difficoltà: creare una grande nave che viaggi sufficientemente veloce da ridurre sotto i mille anni i tempi di viaggio dalla Terra a un altro pianeta e disporre di tecniche di ibernazione e crioconservazione abbastanza evolute da conservare esseri viventi (non solo uomini, ma anche altri animali e piante), embrioni, ovociti o spermatozoi per un tempo almeno pari a dieci secoli, chi potrà aiutare i “passeggeri” a risvegliarsi?
Risvegliare esseri umani adulti e preparati dovrebbe essere più semplice e si potrebbe disporre subito di gente operativa e pronta a entrare in azione. Probabilmente dei sistemi robotizzati come si vedono in tanta fantascienza, vedi per esempio il recente film “Passengers”, potrebbero essere sufficienti allo scopo. Sempre che riescano a mantenersi in funzione per un tempo sufficiente. È sempre il tempo il nostro nemico! Se saremo riusciti a conservare la vita per un periodo così lungo, conservare dei computer o dei robot, probabilmente sarà una sfida minore.
Il sospetto, però, è che ibernare degli esseri umani sarà più difficile che crioconservarli in stato embrionale o addirittura preservare il loro seme e i loro ovociti.
Oltretutto, trasportare un’intera colonia (dalle 500 alle 5000 persone), più animali e piante in proporzione, necessiterebbe una nave immensa, con una massa non meno colossale e, quindi, con dispendi energetici enormi per effettuarne l’accelerazione. Immagino che dovremo puntare sulla crioconservazione, con evidente risparmio di spazio ed energia. Ci dovranno dunque essere degli incubatori per completare lo sviluppo degli embrioni e delle macchine per effettuare la fecondazione di ovociti e spermatozoi. Anche questo potrebbe essere gestibile. Con animali e piante i problemi successivi sarebbero ridotti, ma gli esseri umani impiegano molto tempo per raggiungere la piena efficienza (lo stesso, in misura minore, vale per tutti i mammiferi e molti altri animali). Occorrerà qualcuno che li allevi, li nutra e li educhi. Alcuni umani risvegliati dall’ibernazione? Se sarà possibile farli vivere tanto. Magari si potrebbe immaginare un gruppo di persone che trascorra una serie di periodi in ibernazione, risvegliandosi per un certo tempo, accoppiandosi e avendo figli ed educandoli per il compito futuro. Questi figli e i loro figli e i figli dei loro figli potrebbero continuare ad alternare periodi di ibernazione a periodi di veglia, in modo da arrivare a percorrere mille anni con una numero di generazioni sufficientemente ridotto da non decadere nella barbarie. Le ultime generazioni dovranno attivare gli embrioni o effettuare l’inseminazione degli ovociti. Saranno all’altezza del loro compito? Rispetteranno ancora le regole della nave?
In alternativa, potrebbero essere le strutture della nave, con alcuni robot umanoidi a formare la generazione che scenderà sul pianeta. Presumibilmente la formeranno sulla nave stessa, in orbita attorno al mondo target, su cui altre macchine nel frattempo scenderanno a predisporre l’ambiente per la colonizzazione. Dopo una trentina di anni, la prima generazione potrà scendere sul pianeta, nelle strutture predisposte dagli automi. La nave probabilmente, per ragioni spazio, potrà risvegliare solo piccoli gruppi per volta. Quando il primo gruppo sarà abbastanza grande, sarà risvegliato il secondo, quando il primo sarà maturo, per esempio, si sveglierà il terzo e così via, fino a che tutto il patrimonio genetico non sarà riattivato.
Insomma, raggiungere un nuovo pianeta potrebbe essere possibile solo superando alcune difficoltà tecniche ancora piuttosto lontane dal trovare una soluzione.
C’è poi da dire che, a meno di non aspettare ancora migliaia di anni che varie sonde vadano in giro per la Galassia alla ricerca del pianeta ideale, impiegando migliaia di anni prima di dare qualsiasi risposta, e partendo solo con la certezza di aver trovato il pianeta perfetto, identico alla Terra, l’alternativa sarà partire un po’ alla cieca, fidandosi delle rilevazioni dei telescopi, sperando che il nuovo mondo abbia già un buon numero di caratteristiche positive. Arrivati sul nuovo mondo, con buona probabilità, saremo solo all’inizio di un difficilissimo processo. Non sarà come l’arrivo degli Europei in America. Probabilmente non si tratterà solo di costruire le nostre abitazioni e coltivare la terra. Si dovrà terraformare il pianeta. Si comincerà, come vorremmo ora fare con Marte, creando delle strutture isolate, con aria propria e sistemi di riciclo dell’acqua, al cui interno vivere, allevare animali e coltivare piante. Solo con il tempo (millenni a esser fortunati) potremo cominciare a vivere all’esterno.
C’è una cosa al mondo che fa girare tutto: i soldi. Finora vi abbiamo appena accennato per alcune delle fasi. Non ho idea di quanto un simile progetto costerebbe nel suo insieme. Di sicuro moltissimo. Molto di più di quanto possiamo immaginare. Chi lo finanzierebbe? Un’associazione di Stati, una di privati? Compagnie di colonizzazione come quella inglese delle Indie? Quante opposizioni incontrerebbero simili investimenti, soprattutto se pubblici? Già oggi c’è chi si oppone a viaggi spaziali considerandoli inutili, eppure quest’impresa sarebbe molto più onerosa.
Dobbiamo per questo arrenderci? Sicuramente no. Questa è la nostra grande sfida. Questo è il motivo per cui la natura ha creato una razza tecnologica come la nostra: diffondere la vita tra le stelle. Ma non avremo un pianeta sostitutivo prima di molto, moltissimo tempo. Quello che è abbiamo è prezioso. La Terra è preziosa. La Terra è la nostra casa e lo resterà ancora per molto. La nostra sola casa. È nostro dovere raggiungere nuovi pianeti, ma è anche nostro dovere difendere questo mondo, il terzultimo pianeta viaggiando verso il Sole.
CARLO MENZINGER DI PREUSSENTHAL
Carlo Menzinger di Preussenthal, nato a Roma il 3 gennaio 1964, vive a Firenze, dove lavora nel project finance. Ama scrivere storie e ha pubblicato varie opere tra cui i romanzi ucronici “Il Colombo divergente”, “Giovanna e l’angelo”, i thriller “La bambina dei sogni” e “Ansia assassina”, i romanzi di fantascienza del ciclo “Jacopo Flammer e i Guardiani dell’Ucronia” e il romanzo gotico – gallery novel “Il Settimo Plenilunio”. Ha curato alcune antologie, tra cui “Ucronie per il terzo millennio” e pubblicato su riviste e siti web.
Il suo sito è www.menzinger.it
(https://sites.google.com/site/carlomenzinger/)
I suoi blog sono https://carlomenzinger.wordpress.com/
https://pianeta3.wordpress.com/
Come arrivare su Trappist-1 by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.