Articolo pubblicato su IUA n° 3, Anno IV, Marzo 2017
Facciamo un po’ di chiarezza sulla polemica pro e contro il Lupo
Di Gianni Marucelli
Tutto il mese di Gennaio è stato caratterizzato, in tema ambientale, dalla polemica, scoppiata in margine alla Conferenza Stato-Regioni, sulla ipotesi di consentire l’abbattimento di una certa percentuale di Lupi sul territorio nazionale (cinque per cento, per la precisione), ipotesi proposta da una Commissione tecnica di “esperti”, che si dovevano pronunciare in realtà (e si sono pronunciati) su un Piano per la conservazione del Lupo.
Le Associazioni animaliste e ambientaliste si sono mobilitate e, con un’azione di mail bombing e di pressioni sui media, hanno fatto sì che tutta la questione fosse riveduta e ogni decisione rinviata.
Di fatto, pochi o pochissimi hanno analizzato la problematica da un punto di vista scientifico, e il dibattito tra gli “esperti” della Commissione non è stato reso pubblico.
Per conseguenza, si è assistito a un vero e proprio rincorrersi di “mozioni degli affetti”: sia da parte, ovviamente, di animalisti e ambientalisti, ma anche di politici favorevoli al Lupo (il Presidente della Regione Puglia dichiara “Io sto con il Lupo!”) che da quella degli esponenti di categoria degli allevatori e politici a loro affini (come l’Assessore all’agricoltura e foreste della Toscana, Marco Remaschi) che non vedono l’ora di aprire il fuoco sulle “bestiacce a quattro zampe”.
Per parte nostra, e per i nostri lettori, cerchiamo di fare un minimo di chiarezza, sulla base di dati difficilmente confutabili.
Punto primo: le stime sul numero di esemplari di Lupo, presenti in Italia, non sono concordi, ma comunque sembrano confermare che questi animali non superino, di fatto, le 2000 unità;
i Lupi non si riproducono infatti come i cani, in ogni branco esiste solo una femmina, la “Lupa alfa”, che ha l’estro e può rimanere incinta. Essa partorisce in media due cuccioli l’anno, parte dei quali non supera i primi mesi di vita. Gli altri sono soggetti frequentemente a bracconaggio, incidenti stradali, avvelenamenti da parte dell’uomo (200/300 morti ogni anno)
Punto secondo: i cani randagi, o non controllati dai loro padroni, o rinselvatichiti, secondo stime recenti sono circa 700.000, ubicati per la maggior parte nelle Regioni del Sud e del Centro-Sud.
Spesso si organizzano in branchi, che costituiscono un vero e proprio pericolo non solo per ovini e bovini, ma anche per l’uomo.
Punto terzo: esistono studi, recenti e interessanti, da cui si evince che una parte delle uccisioni di ovini e bovini segnalate dagli allevatori sono truffe ai danni dell’Ente che li deve risarcire. Ciò è attestato per il Parco Nazionale d’Abruzzo, del Lazio e del Molise, ma è ragionevole supporre che il dato sia estensibile, seppure in percentuale minore, ad altre zone del nostro Paese ove non sono state fatte ricerche così accurate. È ovvio che tale evidenza danneggia tutti gli allevatori onesti, che costituiscono la massima parte della categoria.
Il report:
Lo studio cui ci riferiamo è stato condotto nell’anno 2009 per conto del Parco d’Abruzzo da una equipe di Veterinari composta dai dottori Leonardo Gentile, Vincenza De Pino e Paolo Santini.
S’intitola “Analisi del fenomeno predatorio nel Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise” e lo potete reperire interamente sul Web.
È corredato di tabelle numeriche e dimostra ampiamente quanto non è stato minimamente detto da alcuno nel corso delle polemiche pro e contro il Lupo che hanno caratterizzato le scorse settimane. Riportiamo i brani tratti dal Report in corsivo. Sottolineiamo ancora una volta che si riferisce al territorio del Parco di cui sopra.
Le manomissioni sulle carcasse sono state rilevate in 148 casi, pari al 44,98 % delle carcasse esaminate. Più precisamente sono state rilevate incisioni di varia misura in 33 carcasse (vedi foto 3); spostamenti della carcassa dal probabile sito di predazione in 85 casi; entrambe le manomissioni in 30 casi. Le manomissioni ambientali sono state rilevate in 21 sopralluoghi, pari al 6,38 % del totale. Pur se tale percentuale è relativamente bassa, è però molto significativa in quanto la realizzazione di manomissioni ambientali presuppone, più di quelle della carcassa, l’intenzionalità di simulare la predazione.
E, a proposito del pericolo per le greggi derivante non dai Lupi ma dai cani:
Anche se la metodologia di quantificazione del fenomeno del randagismo canino è di tipo opportunistico, cioè non è rilevata costantemente, il fenomeno a nostro avviso è molto preoccupante non solo per l’impatto sulla predazione del bestiame domestico e della fauna selvatica, ma soprattutto per i problemi che tali branchi possono determinare a specie selvatiche particolarmente delicate quali l’Orso marsicano (…). Si tenga presente che, dalle segnalazioni riportate in tabella 12, nel 2009 risulta l’avvistamento e/o segnalazione complessivamente di 129 cani; si tratta di soggetti avvistati in pieno ambiente silvestre, inquadrabili quindi nella categoria “cani rinselvatichiti”, che rappresentano la quota meno consistente dal punto di vista numerico, ma sicuramente la più problematica dal punto di vista dei danni economici e faunistici che comporta.
Sempre rimanendo sul tema “randagismo dei cani”, gli estensori del report suddividono i “randagi” in più categorie: la prima è costituta da quelli che hanno un padrone, ma rimangono liberi aggirandosi per paesi e campagne (cosa piuttosto comune nelle Regioni meridionali); la seconda è rappresentata da:
I cani da lavoro delle aziende zootecniche: in genere di razza pastore maremmano-abruzzese o derivati. Questa categoria di cani, abbastanza consistente dal punto di vista numerico, è costituita dai cani a seguito degli allevamenti ovicaprini, ma anche bovini ed equini. Da osservazioni effettuate, la gestione di questi cani nelle aziende del PNALM, presenta molte criticità quali: la non regolare somministrazione degli alimenti, lo scarso controllo del loro numero, la frequente non registrazione all’anagrafe canina, la mancata gestione sanitaria, l’abbandono sui pascoli estivi dei cani vecchi o delle cucciolate. Questi cani abitano un territorio abbastanza vasto, si muovono in genere alla ricerca di cibo nutrendosi di carcasse rinvenute di animali e predando spesso anche fauna selvatica; hanno atteggiamenti spesso molto aggressivi verso le persone. Soprattutto quelli abbandonati, anche se soggetti a forte selezione naturale, se in buone condizioni fisiche e se in grado di reperire cibo a sufficienza, arrivano a costituire dei branchi organizzati.
(Un appunto personale: molto spesso abbiamo sentito narrare, in Toscana e Umbria, storie di predazioni da parte di cani maremmani che di giorno sorvegliavano il proprio gregge, e, di notte, attaccavano quelli altrui… è anche interessante notare come, da altre indagini scientifiche, in particolare nella Regione Marche, anche molti Lupi risultano essere stati aggrediti e uccisi da cani di grossa taglia)
La terza categoria è costituita da:
I cani rinselvatichiti: sono cani che ormai hanno perso qualsiasi caratteristica comportamentale riferita al cane domestico. Si alimentano sia di carcasse animali, sia predando bestiame domestico e fauna selvatica (cervi e caprioli soprattutto). Utilizzano un territorio ampio. Queste popolazioni di cani, soprattutto quelli rinselvatichiti rappresentano un rischio dal punto di vista sanitario in quanto sono serbatoi di virus e batteri pericolosi per specie come l’Orso marsicano, sono pericolosi per la pubblica incolumità e possiedono capacità predatoria, a fini alimentari, con caratteristiche anatomopatologiche distintive ben evidenziabili e rilevabili su carcasse fresche. Si comportano comunque, al pari dei Lupi e degli Orsi, anche da necrofagi, consumando carcasse di animali morti per altre cause. Inoltre, a differenza del Lupo, hanno un elevato potenziale riproduttivo: difatti all’interno del branco non rispettano gerarchie riproduttive, le femmine hanno l’estro due volte l’anno e potenzialmente tutte si riproducono.
A proposito di necrofagia, ovvero di predazione di animali già morti: i Lupi, come gli altri predatori, non disdegnano di cibarsi di pecore o vitelli già deceduti per cause naturali o accidentali.
In diversi casi, è possibile che le carcasse poi ritrovate, presentando morsi ecc., generino confusione, e che la causa della morte venga attribuita erroneamente a aggressione da parte del predatore.
Insomma, cari amici, vorremmo che i cosiddetti “esperti”, gli amministratori, i politici, gli esponenti di categoria riflettessero e si informassero, prima di deliberare, o anche soltanto di aprire pubblicamente bocca.
Il numero dei Lupi attualmente esistenti non giustifica affatto il putiferio che contro di essi si è scatenato.
Concludiamo con questo aforisma:
I Lupi sono famelici, i cani randagi sono voraci… ma gli uomini molto molto di più.
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