Racconto pubblicato su IUA n ° 6, Anno I, Settembre 2014
Restavamo a lungo, abbandonate sulla spiaggia, zitte e ferme di fronte a un mare così turchese da lasciarci incredule.
Il vento manovrava la sabbia a suo piacimento, facendoci pizzicare la pelle. Parlavamo quasi sempre, dopo il silenzio, di amori ovviamente perduti, ma, poi, qualcosa o qualcuno ci faceva ridere a scoppio improvviso e i frammenti narrati se li portava via il maestrale. Profumavamo di creme protettive e bagnoschiuma al gelsomino, comprato a Rudargia.
Il pomeriggio era d’acqua, fredda e leggera sulle gambe e le braccia, secchiate di luce azzurra sul corpo ancora così bianco.
La spiaggia semicircolare, il mare calmissimo, ci liberavano dagli affanni cittadini, dalla noia, dai piccoli dispiaceri che, come punte velenose di lance tirate con precisione, ci avevano martoriato di ferite fino al giorno prima.
Affondavamo nella sabbia d’ambra, tentavamo qualche fotografia nonostante il troppo vento, ci tuffavamo esitanti nell’acqua che si apriva, tagliandola con qualche bracciata veloce per riscaldare il corpo.
Esistevamo, semplicemente, senza forzature o esagerazioni di stile. Esistevamo quiete, pacifiche come grandi mammiferi acquatici giunti a svernare con tranquilla fiducia in acque più accoglienti. Raccoglievamo i grandi relitti di ghiaccio che ci eravamo caricati in valigia e li lasciavamo sciogliere al sole, con noncuranza, sicure che ciò che sarebbe rimasto sarebbe stato nostro per sempre.
A sera, cenare in terrazza, con il mare aperto davanti simile a un lunghissimo film, ci faceva bene al cuore e agli occhi. Le bougainville fiorite stampavano il colore viola dei nostri giorni marini, una galleria di quadri sempre presente, attiva, semovente a ogni folata impetuosa.
Dopocena era calma, il buio tessuto dalle stelle laboriose scendeva come uno scialle a coprirci, ma la luce del giorno trascorso restava dentro, come la fiammella di un lume a gas che non ne vuole sapere di spegnersi. Quindi, un po’ di cognac, parole che fluivano, salti nei ricordi, speranze per il domani dentro la cittĂ che appariva fortunatamente ancora tanto lontana, sfuocata.
Scendere nei dettagli diventava cosa deliziosa, incantarsi tra un se e un davvero, con la supervisione stellare, e poi sentire freddo nelle ossa, dopo tanto calore accumulato, ci spingeva finalmente dentro i letti fratelli, con i fiori a portata di dita fuori dalla vetrata, con una sottile coperta a riscaldarci.
Il viaggio dentro i sogni era una strada lucida, pulita dal vento, che già sapeva di caffè buono alle sponde del mattino.
Sono stati giorni bellissimi, tesoro mio. Adesso te li racconto.
© Copyright Iole Troccoli 24 aprile 2014
Fotografie di Iole Troccoli
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