Di Iole Troccoli
Allora parliamo del mare. Sediamoci a questo tavolo astratto mentre ancora c’è luce e la luna passeggia i suoi versi, traducendo l’incanto notturno.
Parliamo, scegliamo un angolo assorto, che pare quasi dormiente, togliamo ogni briciola piccola e bruna, pigrizia lasciata ai mattini ventosi, giochiamo a essere uomini e donne di mare, oppure sirene, o vele stracciate di sale e di croste marine portate per caso da solstizi d’estate.
Tu inizia, io ascolto rollando come una tavola schiusa all’acqua, incurante dei riccioli d’onda che mi vorrebbero pallida e bianca contro un cielo più viola dei miei fiori.
Io ascolto, perché l’attesa ha un sapore di legno e di piogge, di temporali avanzati dai sogni sotto un imbarazzo di nuvole gonfie.
Sotto il mare hai scoperto le tue dita allungate di ombre, qualche sasso più lucido, un’erba di quelle che mangiano i grossi mammiferi grigi, quelli che magari vorresti cavalcare in silenzio, sorridendo all’acqua lontana.
Lo vedi, l’acqua è blu, verdastra, azzurra, rosa se si spalma di sole in un tramonto inverso, bianca quando cade il gelo, scura se ti annega il cuore, neranotte se scompone l’alba delle sue creature, morbida o salata se la tagli con la testa e affondi il viso, se non vuoi guardarla e t’innamori solo a immaginarla quieta dentro l’orma di una grotta grande, calda di vapori.
Io cancello e scrivo ogni giorno di questa tela turchina e i suoi profumi solitari, ci cammino dentro e vado verso il vento, contando le parole.
Le tue luccicano sulla soglia come una frase soltanto sussurrata, un biancosogno che scende credendosi chiamato e, forse, amato.
Così mi abbevero mansueta e allora sono un animale dal manto d’oro, e su ogni goccia invento una canzone, oppure mi allontano dalla riva sotto una chela di gambero, riavvolgo i fili delle onde che abbattono la spiaggia e mi consumano la pelle e i passi in curve disegnate col pennino, inseguo te e il mio sogno, che poi è la stessa cosa, inseguo odori che salgono dal fondo, il ferro duro dei coralli invecchiati sognando le derive, il girotondo delle nuvole bagnanti cadute sulla striscia che separa, inseguo questo mio volerti dire, parlare dentro il mare, in una lingua sconosciuta, sola e bellissima, come quell’acqua che non si può vedere, naufragata al largo di ogni rotta, di tenebra e candore.
Ma adesso, ora che è tempo, parliamo del mare, se vuoi.
(Ricordando una spiaggia di Marina di Camerota)
Iole Troccoli 24 ottobre 2014
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