Poesia e Racconto pubblicato su IUA n° 6, Anno I, Settembre

Partirono le rondini

dal mio paese freddo e senza sole,

cercando primavere di viole,

nidi d’amore e di felicità

La mia piccola rondine partì

senza lasciarmi un bacio

senza un addio partì

Non ti scordar di me…

Provo sempre un tuffo al cuore quando sento le note di questa bellissima canzone di Beniamino Gigli del 1939… L’interpretazione che preferisco però è quella di Pavarotti.

Mentre scrivo canto questa melodia dolce e nostalgica.

Le parole mi riportano alla mente momenti particolarmente felici della mia infanzia.

Sono sempre stata una ragazzina e ora una donna solare, ma a volte il mio sorriso si oscura dando spazio a momenti di malinconia. Non so spiegarvi, non è una vera e propria malinconia ma la necessità di appartarmi in un mondo tutto mio dove la musica, oppure la semplice contemplazione di un paesaggio, serve a crearmi dei picchi di felicità inspiegabile.

Allora non è malinconia?!… Boh!!…

Diciamo che il tutto scaturisce da momenti in cui quello che sto vivendo mi sembra così futile e noioso che da’ luogo alla malinconia che a sua volta mi spinge a ritagliarmi quegli spazi di pura felicità..

Oh mamma mia, con queste affermazioni farei impallidire Freud…

Già immagino la situazione: io sdraiata su una sceslong , se dovessi scegliere mi piacerebbe quella di Le Corbusier, e lui seduto davanti a me che mi guarda attonito tra il tramortito e lo sconfortato e con voce perentoria afferma: “Non so se lei è affetta da turbe psichiche o è semplicemente confusa”… Ahahaha

A parte l’aspetto meramente scherzoso della faccenda, questa è la realtà!

Ritornando alla canzone, dicevo che le sue parole mi riportano indietro negli anni dell’infanzia. Come già sapete, vivo in un paesino della Basilicata: Latronico in provincia di Potenza.

La casa dove ho sempre vissuto è posta nel centro storico del paese, che gli abitanti chiamano “Capadavutu” .

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Percorrendo via La Marmora (la strada che parte da casa mia) che è lunga circa 500 metri, si arriva vicino alla chiesetta di S. Nicola..

Questa chiesa dell’XII secolo è molto bella, ma lo era ancor di più prima che la mano scelleratamente consapevole dell’uomo è intervenuta, nascondendo i segni di un tempo antico, ma vivo nella memoria degli abitanti del luogo.

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È situata in un posto privilegiato perché da lì, si può ammirare tutto il paese, il bosco, il monte Alpe, la pineta e le vallate circostanti.

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Mi ricordo che quando ero ragazzina, non avrò avuto più di dieci anni, verso sera, venivo colta da questo senso di malessere e mi appartavo dagli altri ragazzini e dalle mie sorelle, percorrevo via La Marmora e andavo a sedermi, oppure ad appoggiarmi con la testa sui pugni chiusi, sul muretto situato al lato della chiesa a contemplare il paesaggio.

Era primavera e il tepore dell’aria mi avvolgeva dolcemente… Fantasticavo liberamente lasciandomi inebriare dalla fragranza dei miei pensieri, che come rose vellutate accarezzavano la mente.

Oltre alla bellezza che mi circondava quello che faceva divampare la mia anima era il garrito delle rondini.

Vedere quello stormo di uccelli che volava nel cielo terso e bruno facendo dei voli incredibili, quasi pindarici, come i miei pensieri, mi creava una gioia immensa e indescrivibile.

d Questa era per me la felicità… e avevo appena dieci anni!

Quello era uno spazio tutto mio che mi ero ritagliata e che non volevo condividere con nessuno.

E’ la prima volta che lo sto raccontando…

Puntualmente, all’imbrunire, sgattaiolavo, mi posizionavo su quel muretto basso e pensavo… con le rondini e la loro melodia che faceva da sottofondo ai miei sogni di gloria di bambina.

E la vita mi appariva incantevole, il mondo fantastico e il mio paese il più bello del mondo.

Questo appuntamento è durato tanto tempo, ogni primavera, quando il tepore dell’aria richiamava puntualmente stormi interi di queste splendide creature.

Eppure ero una ragazzina serena, ma quei momenti di pura contemplazione mi facevano librare l’anima fino a toccare cieli infiniti dove tutto appariva leggero, puro e semplice ma allo stesso tempo di una infinita bellezza.

Mi sentivo un po’ come il cacciatore di Carducci che se ne stava: ….“sull’uscio a rimirar, tra le rossastre nubi, stormi di uccelli neri, com’esuli pensieri, nel vespero migrar”…

Ho conservato dentro di me questo ricordo per tutti questi anni…

L’ultima volta che percorsi la strada con la gioia che mi esplodeva dentro al cuore consapevole di ciò che mi aspettava fu una decina di anni fa…

Arrivai in fondo alla strada, mi appoggiai al muretto e mi guardai attorno. Tutto sembrava essere rimasto immutato, ma non avvertivo più quel tuffo al cuore, la felicità di un tempo.

Inizialmente non capii ma poi tutto mi apparve chiaro: nel cielo, apparentemente terso e bruno non volavano più le rondini che con la loro dolce melodia avevano cullato i sogni e le speranze di una bambina.

Oggi non vado più perché la consapevolezza di non trovare quei bellissimi uccelli neri ad attendermi mi ferirebbe profondamente e mi sentirei delusa e colpevole per aver tradito quelle splendide creature, contribuendo, anche se non del tutto consapevole, ad alterare l’ecosistema…

Voglio assolutamente che nella mia mente rimangano indelebili quei ritagli di felicità estrema in cui il corpo e l’anima si fondevano con l’armonia della natura, una natura incontaminata, splendidamente in equilibrio con l’intero creato…

Momenti unici… che purtroppo non si verificheranno mai più!

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© copyright Anna Conte 2014

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CC BY-NC-ND 4.0 Una rondine non fa primavera by L'Italia, l'Uomo, l'Ambiente is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.